domenica 29 agosto 2010

La rete cambia il rito sacro della peer-review

Sul New York Times di qualche giorno fa si parla delle opportunità che i media digitali offrono agli accademici per superare i limiti della peer-review.
La discussione fa riferimento all'ambito umanistico ma è esportabile e confrontabile con quanto avviene nelle scienze sociali e in quelle naturali.

L'idea centrale è l'open-review. Nell'articolo vengono presentate una serie di iniziative editoriali costruite attraverso un allargamento del pool di revisori che commentano pubblicamente papers e capitoli di libri non pubblicati.
Il modello di riferimento è wikipedia applicato alla letteratura accademica. Le varianti sono molte, ma gli aspetti essenziali sono questi.

Nell'articolo del NYT si sostiene che stiamo assistendo a una delle più radicali trasformazioni nel modo in cui leggiamo, scriviamo e facciamo circolare la conoscenza fin dall'invenzione dei caratteri mobili.
Si dibatte sulla qualità e la spendibilità accademica della open-review. Mattew Nisbet sottolinea che l'open-review deve andare di pari passo con l'open-access.

Sono punti importanti ma che mostrano solo la punta dell'iceberg della difficoltà a superare il modello della peer-review. Le ragioni più profonde sono legate a mio modo di vedere ad almeno due considerazioni:

Prima questione: la peer-review è la pratica comunicativa attraverso la quale la conoscenza scientifica in particolare, e quella accademica in generale, si sono guadagnate un forte consenso sociale;

Seconda questione (legata alla prima): allargare il numero di persone che valutano un lavoro significa legittimare altri esperti (non accademici) a stabilire la qualità della conoscenza prodotta. E' un processo equivalente ad includere forme di conoscenza non ritenute attualmente "scientifiche". E' una procedura che contribuirebbe a spostare la linea di demarcazione fra conoscenza accreditata accademicamente e altre conoscenze, fra scienza e non-scienza. Questo confine è storicamente determinato e negoziato mediante processi di comunicazione.

Per questi motivi non credo basterà avere soluzioni tecnicamente disponibili per modificare un sistema che ha la funzione di selezionare la classe accademica e da cui derivano identità e riconoscimento sociale.

Il punto che mi preme sottolineare è che la rivoluzione digitale mostra in modo dirompente gli stretti rapporti tra produzione della conoscenza e comunicazione, anche in ambito scientifico.
E' un discorso che ci aiuta a capire meglio perché può essere molto utile, come suggerisce lo storico James Secord, leggere l'impresa scientifica anche come una particolare forma di azione comunicativa.

Su Jcom, la rivista di cui sono direttore, abbiamo dedicato un numero speciale alla scienza peer-to-peer lo scorso marzo. E' un tema legato alla discussione innescata dal NYT e alle procedure di inclusione, di esclusione, di definizione delle categorie di esperto legate alle pratiche comunicative.

venerdì 27 agosto 2010

Internet: narrazione o dissolvimento?

C'è un bellissimo articolo di Pino Longo nel numero di Giugno 2010 della rivista trimestrale di scienze e storia Prometeo su come l'Interazione uomo-Internet si riflette sull'attività narrativa dell'uomo.

Pino Longo, scrittore, teorico dell'informazione e saggista scientifico, sostiene che grazie alle tecnologie digitali la "narrazione riacquista quella che è preumibile fosse la sua multiformità ( o multimedialità) primitiva, a lungo imbrigliata nello stretto pertugio della parola. Non si tratta di rinunciare alla parola, del resto non potremmo, ma di allargare quel pertugio, recuperando, tra l'altro, le tante dimensioni non lineari del tempo. E' come si andasse verso una forma totale, inconcepibile e vertiginosa di teatro".

Questo possibile recupero di una dimensione multimediale della comunicazione non è però privo di problemi.

Longo si interroga soprattutto su quali sono le storie, i miti delle origini, le parabole che i "nativi digitali" possono costruirsi per narrarsi, per giustificare a se stessi la propria esistenza e per anticipare il proprio futuro.
In altre parole, se la necessità di narrare e farsi narrare storie è condivisa da ogni essere umano, ci accompagna dalla nascita alla morte e se questo infinito narrare ha lo scopo di costruire l'identità e il senso che attribuiamo al mondo, quali sono le conseguenze della bulimia comunicativa di cui è affetto il pubblico tecnologizzato su queste indispensabili funzioni del raccontare e del raccontarsi?

La risposta di Pino Longo lascia in realtà aperta la discussione : "I blog, i chat, i forum, le reti sociali e così via", conclude Longo, " sono i semi embrionali di un nuovo tipo di narrazione fondativa su cui possiamo solo congetturare, oppure uno sconclusionato e casuale rumore di fondo in cui si sta dissolvendo ogni residuo narrativo?"

Il futuro digitale dell'editoria passa per le riviste

Riprendo segnalando uno studio della Oliver Wyman realizzato per comprendere quali opportunità offre il digitale a editori, consumatori e pubblicitari.
Una sintesi dei risultati è disponibile in un articolo di Christian Rocca de Il Sole 24 Ore.

Il futuro previsto dalla ricerca, che fa riferimento al mercato degli Stati Uniti, non è negativo. I lettori sono disposti a pagare abbonamenti per riviste e magazine da leggere sugli ereader a patto che quest'ultime siano realmente interattive.
I lettori intervistati pagherebbero sia per la versione cartacea sia per quella digitale, a patto che siano complementari tra di loro.
Rispetto al mondo della sola carta le vendite potrebbero aumentare, da qui al 2014, fino al 50% per coloro che hanno già un abbonamento cartaceo e fino al 200% per chi non ha nessun abbonamento.
Gli editori devono essere disposti a sperimentare però, a innovare e ad allearsi.