venerdì 26 febbraio 2010

Cosa serve per scrivere e vendere un libro di popular science

La sezione Books&Art di nature sta dedicando un web focus al tema "Come si scrive un libro di scienza". Per cinque numeri Nature intervista degli esperti in diversi ambiti editoriali. Uno dei contributi è un colloquio con Carl Zimmer, uno dei maggiori scrittori di libri di scienza popolare attualmente in circolazione.
Tra i suoi successi, Soul Made Flesh, sulla storia della scoperta del cervello.
Secondo Zimmer una proposta per un libro che convinca un editore deve essere scritto come un articolo per un magazine. Deve coinvolgere ed eccitare il lettore. Deve spiegare all'editore perché dovrebbe pubblicare un libro su quel tema, perché quel tema è importante, come si paragona ad altri libri e perché chi scrive è l'autore giusto.
Detto questo cos'è che fa davvero la differenza? Un buon agente, dice Zimmer. Senza un buon agente è molto difficile addentrarsi e navigare nel mondo dell'editoria, con i suoi riti e la sua cultura.

giovedì 25 febbraio 2010

In Cina non si fidano delle scansioni celebrali

Secondo un articolo apparso il 19 febbraio su Science i neuroscienziati cinesi della Beijing Normal University hanno difficoltà a reclutare bambini da sottoporre alla fMRI per i loro esperimenti.
I ricercatori vorrebbero mettere a confronto i risultati delle scansioni celebrali di bambini "sani" con quelli di bambini con ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività). Alcuni genitori non hanno dato il permesso a far esporre i propri figli a intensi campi magnetici.
Le ragioni? Non si fidano dei dottori. In più, c'è sempre una maggiore consapevolezza dei diritti dei pazienti e un crescente dibattito sui media riguardo ai meriti di diversi trattamenti.
E' un caso interessante per comprendere alcuni degli aspetti etici e sociali legati agli sviluppi delle neuroscienze e in particolare all'utilizzo delle tecniche di imaging celebrale.

Qualche rimedio ai problemi fra scienziati e giornalisti

Colin Macilwin, un giornalista scientifico britannico che ha lavorato per una quindicina d'anni a Nature, adesso redattore di Research Fortnight e Research Europe, scrive un articolo su Nature del 17 febbraio 2010 riguardo ai problemi fra scienziati e giornalisti.
Macilwin era in partenza per San Diego per il meeting annuale dell'American Association for the Advancement of Science, svoltosi tra il 18 e 22 febbraio.
Il titolo quest'anno era "Bridging Science and Society".
Nel suo articolo, il giornalista scientifico britannico richiama il report Science and the Media: Securing the Future, di cui avevo già parlato tempo fa.
I mali attuali del giornalismo scientifico:
-aumento del carico di lavoro e allo stesso tempo accresciuta complessità dovuta ai multimedia;
-ruolo crescente delle pubbliche relazioni;
-"pack journalism": devi coprire una storia perché la coprono tutti i tuoi competitori;
-mancanza di tempo e risorse per giornalismo scientifico originale e investigativo.
I rimedi di Macilwain:
-rinuncia al sistema basato sull'embargo delle riviste scientifiche, soprattutto quelle di grande diffusione;
-abbandono della mentalità di "pack journalism" legato alla logica dell'embargo;
-maggiore coinvolgimento degli scienziati sui media nelle questioni che riguardano punti deboli, punti forti e passi falsi del progresso scientifico.

martedì 23 febbraio 2010

La comunicazione della scienza cerca credibilità accademica



Da circa due anni c'è un profluvio di libri di testo su argomenti che di volta in volta vengono denominati "comunicazione della scienza", "coinvogimento pubblico", rapporto tra "scienza e mass-media" o tra "scienza e società".
Nel 2008 è uscito l'Handbook of Public Communication of Science and Technology curato da Massimiano Bucchi e Brian Trench.
Nel 2009 sono stati pubblicati due volumi curati da Holliman et al. Il primo dedicato alla ricerca, mentre il secondo alla pratica in comunicazione della scienza.
Siamo in attesa dell Encyclopedia of Science Communication da parte di Sage e intanto c'è già un'altra pubblicazione che si propone come guida introduttiva per la formazione in comunicazione della scienza.
Si tratta di Communicating Science: New Agendas in Science Communication curato da LeeAnn Kahlor and Patricia A. Stout, New York, Routledge, 2010.
E' bene notare che non si tratta di manuali per imparare tecniche e pratiche della comunicazione della scienza. Di quelli ne escono in continuazione.
Qui il tentativo è più ambizioso. Si vuole mostrare che la comunicazione della scienza è una disciplina accademica vera e credibile. I temi trattati, non a caso, sono volutamente ampi. Un obiettivo comune a tutti i testi è mostrare la vastità di ricerche che ricadono sotto la parola ombrello "comunicazione della scienza".
Nonostante si insista molto sul fatto che i contributi alla ricerca nel settore provengano dalle discipline più disparate, alla fine prevale ancora molto la sociologia.
Da un punto di vista accademico la comunicazione della scienza è alla ricerca di un corpus di conoscenza condiviso e di uno specifico disciplinare. Questi testi, con qualche fatica e ridonadanza, vanno in questa direzione.

lunedì 22 febbraio 2010

Siamo tutti scienziati

E' uscito qualche tempo fa, ma vale la pena lo stesso leggere un articolo apparso su Seed alla fine di dicembre del 2009 scritto da Dave Manger su come volontari non-scienziati stanno contribuendo a sviluppare dei progetti di ricerca in ambiti molto diversi, dalla biochimica alla cosmologia.
L'aspetto più interessante secondo me è che non si tratta della cosiddetta wikiscience, vale a dire quei progetti di ricerca collaborativa di calcolo distribuito in cui gli utenti mettono a disposizione parte della memoria dei propri computer da casa.
Nei progetti descritti da Manger, a cui lui stesso ha contribuito giocando con le proteine, partecipando a test psicologici via web e descrivendo le caratteristiche di alcune galassie, il ruolo dell'utente è non solo attivo nella produzione della conoscenza ma anche necessario.
Secondo Mager non si tratta di pubbliche relazioni, ma di un contributo all'impresa scientifica contemporanea. Un contributo concreto alla costruzione della cittadinanza scientifica che sfrutta la più importante risorsa computazionale del pianeta: il cervello umano.

Il futuro dell'editoria secondo Jason Epstein

Dal New York Review of Books che sarà in "edicola" il prossimo marzo, un articolo del cofondatore della rivista, Jason Epstein, sul futuro dell'editoria.
I cambiamenti dovuti alla digitalizzazione sono di ordini di grandezza superiori all'invenzione della stampa di Gutemberg, sostiene Epstein. La resistenza al cambiamento degli editori tradizionali è dovuta alla paura di scomparire e alla complessità dei cambiamenti che li attendono. La rivoluzione comunque ci sarà, con o senza la collaborazione degli editori.
La digitalizzazione aprirà anche nuove problematiche sul piano morale. Amplificherà la natura migliore degli esseri umani, ma anche l'opposto, la natura diabolica.
Epstein fa inoltre un appello per salvare le backlist, la lista dei libri più vecchi stampati da un editore, che a causa dell'esigenze di un mercato che vuole un turn-over di titoli sempre più rapido si stanno erodendo. Le backlist collettive sono la nostra memoria culturale, scrive Epstein. Senza di esse la nostra cività collasserebbe.

sabato 20 febbraio 2010

Dawkins cita male Primo Levi, almeno secondo Jeremy Bernstein

Jeremy Berstein, fisico e famoso popular science writer americano, ha scritto una recensione del The Oxford Book of Modern Science Writing curato da Richard Dawkins, biologo britannico e autore di best seller come il Gene egoista. La recensione si trova su un numero del The New York Review of Books che sarà disponibile in forma cartacea a partire dall'11 Marzo 2010. Berstein non è molto convinto del lavoro di Dawkins. Si chiede cosa se ne fa un lettore dell'antologia dei testi raccolti da Dakwins. Nelle conlusioni spera che siano solo un antipasto, uno stimolo per il lettore perché approfondisca andando a leggersi gli originali in forma completa.
Non è poi neanche convinto della selezione fatta.
A questo proposito si dilunga su Primo levi e La Tavola periodica. A suo modo di vedere c'erano dei capitoli, come quello intitolato "Cerio", in cui Levi dava grande prova di scrittura intrecciando la descrizione dell'elemento chimico con la tragica esperienza nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale.
Dawkins sceglie però di pubblicare il capitolo intitolato "Carbonio" e secondo Bernstein fa un cattivo servizio allo scrittore italiano perché il lettore ha un'impressione completamente sbagliata del perché La Tavola periodica è un grande libro.

Dal PUS al PEST, discussioni ricorrenti nella comunicazione della scienza

Sulla mailing list del psci.com, un portale britannico dedicato a fornire le migliori risorse internet sulla comunicazione della scienza e sul coinvolgimento pubblico su scienza e tecnologia, si sta discutendo del passaggio dal Public Understanding of Science (PUS) al Public Engagement with Science and Technology (PEST). Se ne discute da tempo. Tanti ne hanno già scritto, compreso io, secondo diverse prospettive.
Riporto la questione per mettere in evidenza il fatto che nella riflessione sulla comunicazione della scienza spesso si "reinventa la ruota". Prima o poi spunta qualcuno che dice che è finito il deficit model, bisogna passare al dialogo, alla partecipazione. Va avanti così fin dagli anni '90.
Il reiterarsi di queste discussioni dimostra quanto ancora non ci sia un corpus di concetti, teorie e conoscenze condiviso e riconosciuto da coloro che si occupano di comunicazione della scienza sia dal punto di vista teorico che professionale. Interessante comunque quanto dice, in una delle mail, Heather Rea, coordinatore e project manager dell'Edinburgh Beltane, un centro per il Public Engagement in Scozia:

"The model that I find most useful is to consider engagement as a spectrum of
activities ranging from the one-way information provision (books, lectures, media and PUS) through the two way engagements such as involvement/dialogue, consultation etc all the way to empowerment (eg citizens jury's/ deliberation).

Some may think this as an increasing scale of desirability ie we should all be aiming to empower people. But the truth is that in order to empower, you must also carry out all the other activites on the scale including informing."

mercoledì 17 febbraio 2010

In Cina gli scienziati pubblicano "ad ogni costo"

Ritmi e concorrenza ai limiti delle possibilità umane determinano qualche crepa nel sistema scientifico-accademico cinese. Chi è disperato perché non riesce a pubblicare quanto dovrebbe secondo gli standard necessari a fare carriera, ricorre a diversi tipi di frodi. Dal ghostwriting, al "paper brokering" in cui gli autori si rivolgono ad agenzie specializzate per vedere aumentate le loro possibilità di pubblicare su riviste prestigiose, fino all'elargizione di premi da parte di riviste che non hanno i titoli per darli, il commercio legato alle pubblicazioni scientifiche taroccate è aumentato di cinque volte negli ultimi due anni.
Lo afferma una ricerca condotta da Shen Yang, uno studioso cinese di managment editoriale impegnato da anni nella lotta alle frodi scientifiche nel suo paese, riportata da Scidev.net.
Credo che la lettura dell'articolo sia istruttiva per chi crede ancora che le norme che regolano il funzionamento istituzionale della scienza siano quelle descritte da Merton. Se mai è stato così, la scienza del XXI secolo ha poco a che fare con quelle norme. Il caso cinese insegna.

martedì 16 febbraio 2010

I lettori del New York Times preferiscono la scienza

"Ti ho inviato una email con un articolo che mi sembra davvero impressionante: parla di meccanica quantistica". Potrebbe recitare così il testo di un messaggio di posta elettronica di un lettore del New York Times che invita conoscenti, amici e parenti a condividere la lettura di un "pezzo" apparso sul quotidiano newyorkese. Secondo una ricerca dell'Università della Pennsylvania e riportata dal giornale lo scorso otto febbraio, il 30 per cento degli articoli suggeriti via mail ad altre persone tratta di scienza. Il motivo per condividere con altri la lettura è che gli argomenti scientifici suscitano ammirazione e reverenza. Perché? Perché se leggi una storia che fa cambiare il modo di vedere il mondo, lo vuoi condividere con altri, vuoi condividere con altri cosa significa. Vuoi fare dei proseliti e condividere il sentimento di ammirazione con loro. Tutto questo, secondo i ricercatori dell'Università della Pennsylvania ha a che fare con la scienza, almeno per i lettori del New York Times.

venerdì 12 febbraio 2010

Psichiatrizzazione delle neuroscienze?

Mercoledì 10 febbraio, nell’ambito del l’incontro internazionale Trieste 2010: Che cos’è salute mentale? si è tenuto un workshop sul rapporto tra psichiatria, salute mentale e le nuove conoscenze provenienti dalla genetica, dalla biologia molecolare e dalle neuroscienze: una sessantina di partecipanti hanno discusso i controversi aspetti scientifici, etici, diagnostici e storici legati agli sviluppi delle ricerche sul genoma umano e sui metodi utilizzati per fornire misure dell’attività celebrali, in particolare la fMRI (functional magnetic resonance imaging).
L’occasione per affrontare il tema è stata una sentenza della corte d’Assise di Trieste, risalente all’ottobre del 2009 che riconosceva uno sconto di pena a un cittadino algerino colpevole di omicidio in quanto portatore di “vulnerabilità genetica”. La vicenda ha avuto una risonanza mediatica nazionale, anche perché in essa si profilavano i possibili rischi di pratiche scientifiche rivolte a individuare anomalie genetiche.
Le tecniche mediante le quali è stata riconosciuta l’attenuante genetica a Abdelmalek Bayout sono le moderne procedure di scansione e imaging del cervello finalizzate a rendere in immagini anatomia e funzionalità celebrale.
Quanto sono affidabili queste tecniche? Qual è la loro validità nell’attribuzione di colpevolezza o di innocenza di una persona che commette un reato? Ha senso esportare i risultati delle ricerche genetiche e delle neuroscienze in diversi ambiti sociali e soprattutto in ambito psichiatrico? Non si ripresenta il rischio, attraverso queste conoscenze, di voler ammantare la psichiatria di una scientificità che non possiede? Non si corre il rischio di allargare le pratiche e le culture della “medicalizzazione” della vita?
Sono le domande che hanno motivato l’organizzazione del workshop. Sono le questioni illustrate da Peppe Dell’Acqua all’inizio dell’incontro e riproposte in diversi momenti della discussione.
Dell’Acqua è preoccupato della formazione dei giovani psichiatri, sempre più armati di conoscenze “oggettive”, ma sempre meno di uno sguardo in grado di tutelare e valorizzare la soggettività delle persone. Dell’Acqua non vuole rifiutare i progressi, in alcuni casi straordinari, che neuroimaging, biologia molecolare e genetica hanno prodotto nel campo della salute e della malattia mentale.
Il punto è, come è noto, di non cedere alle tentazioni e alle semplificazioni riduzionistiche.
Si tratta di mettere in scena un confronto tra conoscenze che poco comunicano tra di loro e di trovare un terreno condiviso e significativo soprattutto per chi affronta il disturbo mentale. Il workshop dello scorso 10 febbraio si voleva muovere in questa direzione.
Gli ospiti dell’incontro, alcuni tra i più importanti studiosi italiani di genetica, biologia e diritto sono stati inviati a Trieste per chiarire ambiti di competenza e possibilità di incontro dei saperi .
Enrico Alleva, biologo, presidente della Società Italiana di Etologia, socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei, ha insistito molto sul concetto di plasticità dei neuroni e del sistema nervoso centrale, ossia la capacità del cervello di adattarsi agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno. La scoperta più importante delle neuroscienze a proposito di neuroni e sistema nervoso centrale è che le cose sono molto più complesse e dinamiche di quanto si sospettasse. Se solo ci liberiamo di schemi mentali deterministici nell' interpretazione del suo funzionamento possiamo capire cos' è il cervello dell' uomo, la sua plasticità e la sua irrepetibilità.
Giorgio Bignami, medico e libero docente in farmacologia, ex dirigente di ricerca in psicofarmacologia presso l’Istituto Superiore di Sanità e da poco presidente di Forum Droghe, si è soffermato sugli effetti degli interessi economici delle aziende farmaceutiche. Bignami ha sottolineato il rapporto perverso tra l’esigenza del profitto, il marketing e l’uso inflazionato e improprio di farmaci di efficacia dubbia o nulla, ma anche di prodotti di provata ed elevata efficacia. L’industria farmaceutica finanzia numerosi studi programmati in modo da predeterminare i risultati mediante vari artifizi allo scopo di “dimostrare” una maggiore validità e una minore nocività dei nuovi prodotti rispetto ai vecchi. Analisi più accurate condotte da ricercatori indipendenti hanno evidenziato in tempi più recenti che le differenze di cui si è detto erano in larga parte artefatti dovuti a errori metodologici, non si sa bene.
Francesco Migliorino, professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno all’Università degli Studi di Catania, attraverso ricerche storiche ha offerto una prospettiva originale dell’intreccio tra scienza, psichiatria e diritto. Migliorino ha illustrato il concetto di bonifica umana soffermandosi sulla figura di Filippo Saporito, il più influente alienista italiano, direttore di Aversa, vissuto tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Secondo Saporito, manicomi e carceri sono centri di depurazione fisica e morale dove per sempre vanno rinchiuse le “bestie umane”. Il manicomio criminale è un policlinico della delinquenza costruito attraverso una tecnologia di razionalizzazione finalizzata alla bonifica umana.

Infine Edoardo Boncinelli, docente alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute di Milano ed ex-direttore della Sissa, ha trattato il tema del rapporto tra geni e comportamento.
Fisico di formazione, Boncinelli si è dedicato allo studio della genetica e della biologia molecolare degli animali superiori e dell’uomo dando un contributo fondamentale a queste discipline individuando la famiglia di geni detti omeogeni che controllano il corretto sviluppo del corpo, dalla testa al coccige. Da diversi anni si occupa dello studio del cervello e della corteccia cerebrale. Boncinelli ha discusso dei risultati scientifici più recenti riguardanti il rapporto tra geni e ambiente. I meccanismi che regolano i comportamenti sono influenzati dal profilo genetico degli individui. Ma quanto incidono i geni e quanto incidono il contesto, lo stile di vita, l’educazione, le esperienze personali non è affatto chiaro. Un tempo si tendeva a dare una risposta salomonica a questo interrogativo: 50% geni e 50% ambiente. La ricerca negli ultimi anni ha ulteriormente complicato il quadro. Stando ai risultati più aggiornati un 30% dei nostri comportamenti è da attribuire al nostro corredo genetico, un altro 30% al contesto ambientale mentre il resto è attribuibile a una non meglio precisata casualità.

giovedì 11 febbraio 2010

Scienziati e governo britannico devono lavorare di più per coinvolgere il pubblico

Un altro report commissionato dal BIS britannico (Department for Business Innovation & Skills) sul tema del coinvolgimento pubblico. Un paio di giorni fa il Science for All Gropu, che ha realizzato la ricerca, ha pubblicato i risultati del lavoro e un piano d'azione.
Il report si concentra su tre questioni identificate dal gruppo come sfide da affrontare nei prossimi anni:

1. E' necessaria una maggiore comprensione del perché, di quando e di come i pubblici vengono coinvolti su questioni scientifiche. In generale la questione del coinvolgimento pubblico è ancora un tema relativamente nuovo e la comprensione di molti suoi aspetti si sta sviluppando solo ora;

2. Nonostante ci siano molti attori coinvolti nei ragionamenti e nelle pratiche attorno ai temi del coinvolgimento pubblico manca una condivisione d'esperienze e una capacità di lavoro comune. Mancano in altre parole reti e maccanismi efficaci per far funzionare meglio le attività deliberative;

3. Manca una cultura professionale che valorizzi, riconosca e supporti le attività di coinvolgimento pubblico con "le scienze";

Il terzo punto è particolarmente signficativo, a mio modo di vedere, per il settore dell'informazione. Tra i nuovi compiti del giornalismo scientifico alcuni indicano quello di fornire strumenti di riflessione e azione ai cittadini su temi scientifici e tecnologici socialmente controversi. Manca quindi la consapevolezza che uno dei compiti del nuovo giornalismo scientifico può essere quello di trattare i pubblici come partecipanti attivi del governo della tecnoscienza.

martedì 9 febbraio 2010

Ancora su malattie mentali e influenza psichiatria americana


Ritorniamo sull'impatto della psichiatria americana sulla definizione e classificazione delle malattie mentali a livello globale. Dal blog Neuroskeptic segnalo l'uscita del libro Crazy like Us scritto da Ethan Watters.
Crazy Like Us è un esame approfondito e provocatorio della "globalizzazione della psiche americana", il processo attraverso il quale lentamente, ma inesorabilmente, il mondo ha adottato il modo di pensare americano riguardo alle malattie mentali. L'Italia, una volta tanto, rimane una fortunata eccezione. Speriamo che duri.

Perdita di biodiversità: un problema di comunicazione

Il direttore di Scidev.net, David Dickson, nel suo ultimo editoriale del 5 febbraio 2010 descrive le difficoltà nel convincere i politici e l'opinione pubblica dei rischi che corriamo con la perdita di biodiversità su larga scala. Dickson fa un paragone con i cambiamenti climatici e attribuisce alla comunicazione un ruolo cruciale.

Nella sua analisi:

-La comunità scientifica non è in grado di comunicare efficacemente ai decision-makers i vantaggi della conservazione della biodiversità al'interno di un'agenda politica che mette al primo posto il lavoro e la crescita economica;

-Le questioni scientifiche sono troppo distanti dai problemi della vita di tutti i giorni, quindi le persone non capiscono perché una perdita di biodiversità dovrebbe essere interessante per le loro esperienze concrete;

-Sui media il tema della biodiversità non è connessa ai problemi quotidiani;

-La stessa parola "biodiversità" o il termine "web of life" non sono efficaci per i motivi detti sopra;

-I toni apocalittici non servono ad aumentare la consapevolezza su questi temi. Al contrario determina cinismo e fatalismo;

Cosa fare allora?
"Generare un discorso pubblico che direttamente lega i bisogni dell'ambiente a priorità sociali come lavoro, cibo e salute".

Dickson ci dice insomma che bisogna cambiare la cornice in cui presentare il tema della biodiversità. Da problema "di fine el mondo" a vicenda dalle conseguenze sperimentabili nella vita di tutti i giorni.
Molto giusto, ma questo vale per tanti temi in cui la scienza, la tecnologia e la medicina giocano un ruolo cruciale nelle decisioni individuali, collettive, nelle scelte di policy. Per andare oltre gli appelli bisogna insistere sul fatto che scienziati e operatori della comunicazione scientifica devono ridefinire i propri ruoli e le proprie funzioni. Investire e ragionare sulla formazione è una delle cose da fare. Non l'unica, certo. Se è vero però che c'è un nuovo rapporto tra scienza e società, allora abbiamo bisogno di nuovi scienziati e di nuovi giornalisti scientifici. Altrimenti, il rischio di "riscoprire la ruota" nella comunicazione della scienza è sempre molto alto.

venerdì 5 febbraio 2010

Come gli Stati Uniti esportano le loro malattie mentali

How the US exports its mental illnesses è il titolo di un articolo scritto da Ethan Watters sul New Scientist della scorsa settimana. La tesi è che gli psichiatri statunitensi, che dominano il dibattito mondiale sulla classificazione e i trattamenti del disturbo mentale, ignorano le specificità locali e culturali. Con l'aiuto delle multinazionali farmaceutiche. E' una discussione importante considerando che è in progettazione il nuovo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell'Associazione psichiatrica americana. Si tratta del DSM V e l'uscita è prevista per il 2012. Dal Sito dell'Associazione degli psiciatri americani si può scaricare l'agenda di ricerca per la realizzazione del volume . Fra qualche giorno modererò una sessione all'incontro "Trieste 2010:Che cos'è salute mentale?". Il titolo del workshop a cui partecipo è Nuove conoscenze o pschiatrizzazione delle neuroscienze?. Per capire di cosa si tratta si può prendere un estratto dell'agenda di ricerca del futuro DSM V. Il libro, tra le altre cose:

Offers a neuroscience research agenda to guide development of a pathophysiologically based classification for DSM-V, which reviews genetic, brain imaging, postmortem, and animal model research and includes strategic insights for a new research agenda

Manuale su giornalismo 2.0

Ciroclano i rete i primi manuali sul giornalismo 2.0 Quello che vi segnalo è in realtà del 2007, ma tant'è. L'ha scritto Mark Briggs per iniziativa del J-Lab e del Knight Citizen News Network.

giovedì 4 febbraio 2010

Il nuovo "ecosistema" del giornalismo scientifico

Steven Johnson qualche tempo fa ha descritto in modo lucido l'ecosistema dell'informazione nel dibattito sull'effetto del web sui mezzi di diffusione delle notizie tradizionali. Qualcuno prova a trasferire il concetto di un nuovo ecosistema informativo al giornalismo scientifico. A pagina 38 del rapporto Science and the Media: Securing the Future scritto da Diana Fox, direttrice del Science Media Centre della Royal Institution britannica, vengono individuati tre grandi categorie di nuove imprese nel giornalismo scientifico:

1. Imprese semi-giornalistiche costruite e condotte dalla comunità scientifica stessa;

2. Nuove imprese giornalistiche che nascono all'interno del mondo del giornalismo

3. Sviluppi nel social networking sul web che stanno cambiando sia il modo in cui il giornalismo è fatto, sia il modo in cui il pubblico riceve l'informazione

A parte la prima considerazione, non si capisce bene cosa ci sia di specifico per il giornalismo scientifico.

Il report è stato commentato su un forum di Nature. Secondo Hilary Sutcliffe , che considera peraltro il report eccellente, bisogna porre più attenzione all'utente di solito non interessato ai temi scientifici. Sutcliffe pone il problema della "predicazione ai convertiti". Se ne parla da molto, ma è difficile da superare. La sensazione è che la maggior parte della comunicazione pubblica della scienza è studiata, pensata, attuata nei confronti di persone che hanno già un forte o moderato interesse nei confronti della scienza stessa. Credo sia vero.

mercoledì 3 febbraio 2010

Per gli scienziati essere buoni comunicatori non basta

Communicating science di Nicholas Russell si propone come un libro diverso da quelli che portano di solito questo titolo.
Non è un manuale, non dice semplicemente che per gli scienziati i tempi son cambiati, che devono uscire dalla torre d'avorio, che devono capire le logiche dei media e, ahiloro, adattarvisi. Dalla descrizione su Amazon:

"This book critically examines the origin of this drive to improve communication, and discusses why simply improving scientists' communication skills and understanding of their audiences may not be enough. Written in an engaging style, and avoiding specialist jargon, this book provides an insight into science's place in society by looking at science communication in three contexts: the professional patterns of communication among scientists, popular communication to the public, and science in literature and drama. This three-part framework shows how historical and cultural factors operate in today's complex communication landscape, and should be actively considered when designing and evaluating science communication. Ideal for students and practitioners in science, engineering and medicine, this book provides a better understanding of the culture, sociology and mechanics of professional and popular communication."

Lo stato del giornalismo scientifico in UK

Si discute da un po' della "crisi" o del futuro del giornalismo scientifico. L'argomento è stato oggetto di discussione alla conferenza internazionale dei giornalisti scientifici tenutasi a Londra lo scorso luglio del 2009. Oltre agli scenari e alle discussioni teoriche arrivano finalmente anche un po' di ricerche empiriche, dalla Gran Bretagna. I due studiosi Andy Williams e Sadie Clifford della Cardiff University School of Journalism, Media and Cultural Studies hanno pubblicato il report "Mapping the Field: Specialist science news journalism in the UK national media" . La ricerca si è basata su circa 100 interviste a giornalisti scientifici, medici, ambientali e tecnologici e direttori di importanti testate.
Tra i risultati principali:

1. Il taglio ai giornalisti scientifici inizia nel 2005. Tra il 1989 e il 2005 il numero dei giornalisti specializzati in scienza, ambiente e salute è in realtà aumentato.

2. I giornalisti scientifici godono di ottima considerazione nelle newsroom.

3. Il carico di lavoro per i giornalisti scientifici è cresciuto significativemente negli ultimi anni perché le redazioni hanno tagliato.

4. Non c'è più tempo per il lavoro giornalistico indipendente. Problema del "pack journalism".

5. Non c'è più tempo per fare le verifiche dell'attendibilità delle fonti.

6. E' aumentato in modo cruciale il ruolo delle PR nella scienza.

7. Gli intervistati non pensano che il giornalismo scientifico sia particolarmente minacciato. Più della metà non crede che dieci anni fa ci fossero più giornalisti scientifici che adesso in UK.

Conclusioni (non molto originali: "the
ability of specialist journalists to produce independent news of a high quality is inseparably linked to the ability (or willingness) of news organisations to adequately resource their newsgathering activities"

martedì 2 febbraio 2010

Medici o reporter? Problemi etici del giornalismo medico-scientifico nel dramma di Haiti

Il Columbia Journalism Review ricostruisce una vicenda che sta suscitando un intenso dibattito in questi giorni su blog specializzati e importanti media americani.
La questione riguarda alcuni corrispondenti di grandi network televisivi che sono anche medici. I reporter-dottori sono stati inviati ad Haiti. Nella tragedia dell'isola caraibica, molti di loro si sono trovati in situazioni in cui hanno dovuto smettere il cappello di giornalista e indossare quello di medico. Niente di male, ovviamente, se i due ruoli rimangono separati. Ma cosa dire se la Cnn manda in onda un video di quattro minuti di uno dei suoi inviati, il Dr. Sanjay Gupta, mentre visita una ragazzina di quindici anni con una ferita non grave alla testa? O mentre lo stesso descrive l'operazione di una bambina di dodici anni?
Dov'è la notizia? Si può separare il ruolo di giornalista da quello di medico in situazioni così delicate e critiche come il terremoto di Haiti? Si può mantenere l'obiettività richiesta al giornalismo raccontando una storia di cui si è protagonisti?

Su questi interrogativi si stanno interrogando blog, giornali, televisioni americani.

Alcune considerazioni:

1. Ad alcuni la questione può sembrare vecchia. Per capirne la profondità in termini nuovi bisogna considerare l'ecosistema comunicativo in cui si è svolta la vicenda e in cui si svolge la discussione. Senza blog, twitter, video non sarebbe stata possibile né l'una né l'altra.

2. Gupta e simili sono esempi di giornalismo crossmediale in cui contenuti, professionalità e processi non iniziano e finiscono all'interno di un solo medium.

3. La "notizia" è legata a nuove forme di fiducia tra pubblico e giornalista in cui l'essere contemporaneamente medico e reporter gioca un ruolo determinante a favore di una maggiore credibilità.

Un altro manuale per gli scienziati che vogliono/debbono comunicare

Am I Making Myself Clear? è un libro pubblicato da poco della Harvard University Press indirizzato agli scienziati che vogliono migliorare le loro capacità comunicative. La logica con cui sembra impostato è quella solita del conflitto tra scienza e media. i ricercatori devono correre al riparo dalle distorsioni di radio, tv, internet, ecc. altrimenti sono guai. Nella presentazione ci si ripromette in realtà di servire gli interessi del rapporto tra "scienza e società". Vedremo...