lunedì 29 marzo 2010

Una nuova scienza per valutare la scienza

Julia Lane, in un recente commento su Nature, si auspica che la metrica della scienza diventi più scientifica. Gli attuali sistemi di valutazione e di misura delle performance accademiche hanno molti problemi.
Secondo l'autrice è necessario un database più credibile di quelli esistenti, aperto e trasparente, in cui fornire informazioni attendibili sugli scienziati e sulle istituzioni scientifiche. Un esempio è l'esperienza brasiliana Lattes Database.
C'è poi bisogno di dati che tengano conto del lavoro degli scienziati nella sua complessità. Non ci si può limitare semplicemente alla pubblicazione dei paper. Occorre creatività per capire quali sono altri modi possibili per misurare il lavoro e l'impatto dei ricercatori. Per questo motivo anche gli scienziati sociali e gli economisti dovrebbero essere coinvolti nella ridefinizione di una scientometria più scientifica.
Quali sono le ragioni di tutto questo sforzo per innovare il sistema di valutazione della ricerca?
Sostanzialmente per decidere dove e a chi devono andare i finanziamenti.

venerdì 26 marzo 2010

Sono un ricercatore: che ci guadagno a dialogare col pubblico?

Un recente report dei Research Council britannici fornisce alcuni esempi di possibili benefici per ricercatori che partecipano ad iniziative di comunicazione finalizzate al coinvolgimento pubblico (public engagement):

Eccoli:

-Skills development
-Career enhancement
-Enhancing your research quality and its impact
-New research perspectives
-Higher personal and institutional profile
-Influence and networking opportunities
-Forming new collaborations and partnerships
-Enjoyment and personal reward
-Additional funding
-Increasing awareness of the value of research
to UK society
-Increasing student recruitment
-Inspiring the next generation of researchers

Simmetricamente bisognerebbe chiedersi l'interesse e i benefici del pubblico nel dialogare con gli scienziati...

giovedì 25 marzo 2010

Pischiatria ed ereditarietà

Un paio di giorni fa ho moderato a Trieste una conferenza su Psichiatria ed eridarietà. concetti e rappresentazioni tra XIX e XX secolo. La relazione è stata di introdotta da Jean-Cristophe Coffin con introduzione di Mario Colucci.
La teoria della degenerazione assegna un ruolo decisivo all'ereditarietà nello studio delle malattie mentali. Si afferma a partire dalla seconda metà dell'Ottocento. Come mai proprio in quel periodo? Perché in quel periodo la psichiatria si allontana dal manicomio, rinuncia alla possibilità di curare e decide di aprirsi a un campo d'intervento così ampio e diffuso come la difesa scientifica della società?
La generalizzazione del potere psichiatrico, o meglio l'affermazione della sua dominante biopolitica, derivano dalla "patologizzazione del crimine" (vedi voce Degenerazione di Pierangelo Di Vittorio, Manifestolibri, 2006, pg. 103), da una nuova percezione sociale della "pericolosità".
Gli effetti della teoria della degenerazione sono:

1) Moralizzazione della famiglia (tecnologie del matrimonio utile, vantaggioso, ecc.)
2) Incurabilità della malattia mentale;
3) Razzismo;

La teoria della degenerazione è un tragico esempio delle possibili conseguenze sociali di un'ipotesi pseudo-scientifica che condiziona ancora molto la percezione pubblica delle malattie mentali.

martedì 23 marzo 2010

Come comunicare sull'evoluzione nei paesi mediorientali

Suggerimenti per una comunicazione efficace riguardante i temi dell'evoluzione da parte di Scidev.net. L'autore è Mohammed Yahia, editor di Nature per il Medio Oriente. Il problema riguarda le strategie di comunicazione, ad esempio, in paesi come l'Egitto e il Sud Africa dove, rispettivamente il 62% e il 73% della popolazione non avrebbe mai sentito parlare di Darwin.
Dice Yahia:
1. Siate chiari;
2. Non mettete l'evoluzione contro la religione;
3. Scegliete con accuratezza i termini;
4. Fate sentire anche i pareri controversi;
5. Parla di cose che conosci bene altrimenti studia;

Alcune raccomandazioni potrebbero sembrare ovvie, ma sono interesanti perché rispecchiano l'esperienza di chi lavora nella regione mediorientale su questi temi da molti anni.

domenica 21 marzo 2010

Disturbi del comportamento=anomalie del cervello, come si fa a essere così sicuri?

C'è un articolo di Gilberto Corbellini sul Domenicale del Sole24Ore di oggi che commenta la pubblicazione, avvenuta il 10 febbraio, di una bozza del DSM-V, la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, lo strumento diagnostico per disturbi mentali più usato al mondo. Corbellini si sofferma sull'ateoreticità del DSM e sulla precarietà epistemologica della psichiatria. Per superare questi limiti, conclude lo storico della medicina, ci sarebbe bisogno di "un salutare pluralismo epistemologico, ispirato però da una rigorosa concezione naturalistica della malattia mentale. Gli avanzamenti delle neuroscienze stanno muovendo in questa direzione, consentendo di tornare a sfruttare euristicamente le teorie per ricondurre i disturbi del comportamento a quello che sono. Cioè alterazioni del funzionamento del cervello".
La questione su come le neuroscienze possano essere integrate nel DSM-V era stata, fra gli altri, trattata poco più di due anni fa su Nature Neuroscience da Steven Hyman, il quale concludeva che "è probabilmente prematuro usare la neurobiologia nella classificazione formale che costituirà il nucleo del DSM-V." anche se, continuava Hyman "non è troppo presto per usare la neurobiologia come strumento centrale per ripensare l'approccio attuale ai disturbi mentali".
Mi soffermo ora sull'ultima frase di Corbellini che ribadisce una vecchia equazione della psichiatria naturalistica: le malattie mentali sono disfunzioni del cervello. Il primo a sostenerlo fu Wilhlem Griesinger a metà Ottocento. Come ricorda Eugenio Borgna in Come se finisse il mondo. Il senso dell'esperienza schizofrenica edito da Feltrinelli nel 1995, a pagina 21, lo stesso Griesinger, in una lezione del 1867 "invitava gli studenti a non reprimere 'gli slanci affettivi che ci assalgono quando siamo dinanzi a questo enigma del destino che è la follia': dicendo (anche) che 'i grandi pensieri vengono dal cuore' e che, in psichiatria, intelligenza e tecnica offrono un aiuto migliore quando si abbia 'un caldo sentimento per l'infelicità umana dei pazienti'."
Sono parole importanti, da tenere molto bene a mente proprio perché dette dal padre della psichiatria naturalistica incoraggiata da Corbellini.
Sempre Borgna (pg. 22 del libro citato sopra) ricorda poi le parole di Kurt Schneider il quale nel 1919 affermava che "non c'è un solo processo celebrale a cui sia correlato in un manifestarsi immediato e parallelo un processo psichico". La situazione non è cambiata granché da allora.
Biosgna tenere a mente anche questo non per sminuire i risultati delle neuroscienze o per trionfalizzare la psichiatria sociale, ma per ricordarci che essere psichiatri è una cosa diversa dai modelli teorici e che qualunque modello (biologico, sociologico, psicoterapeutico) fa fatica a contenere la realtà delle persone che con la malattia mentale hanno veramente a che fare. Non bisogna scordarselo.

Blog e wiki a confronto con la peer-review nell'editoria accademica

Riprendo da Robin Good's un articolo sull'impatto che blog e wiki hanno nei processi di comunicazione tra accademici. L'articolo non ha molti dati. Riporta un generico aumento nelle università dell'uso del web 2.0 e cerca di identificare i motivi per cui alcuni accademici aprono un blog o collaborano tramite una piattaforma wiki. L'autrice Janelle Ward conclude che non sono ancora chiari i benefici per la ricerca.
La questione dell'uso dei blog e dei wiki nell'editoria specialistica, soprattutto in ambito scientifico, sta sollevando l'interesse di chi fa ricerca in comunicazione della scienza. Per il momento, a parte i fisici delle particelle e gli informatici, gli scienziati sembrano freddi nella possibilità di innovare le loro pratiche di comunicazione sfruttando il web 2.0. Blog e wiki mettono in discussione il processo di peer-review, che per il momento resiste nonostante le critiche. Sulla peer-review si gioca il consenso sociale sulla credibilità pubblica della scienza. Questo è uno dei motivi per cui il web 2.0 fa fatica a sfondare nella comunicazione tra scienziati.

venerdì 19 marzo 2010

In dubbio la riproducibilità degli studi sull'imaging celebrale

Nature ritorna sulla questione dell'affidabilità delle tecniche di imaging per la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Vengono riportati i risultati di uno studio secondo cui le ricerche sulle scansioni celebrali, per le quali esiste un legame tra aspetti della personalità, la memoria, l'emozione e una specifica attività celebrale, non sono così facili da riprodurre. Ne aveva già parlato Neuroskeptic con un post di qualche giorno fa. Lo studio originale si trova qui.

Ci si fida troppo di alcune tecniche scientifiche nelle aule di giustizia

Science in court, la scienza nelle aule di giustizia. Si chiama così lo speciale di Nature uscito ieri dedicato alla scienza forense, una disciplina che si è sviluppata più per le esigenze giudiziarie che attraverso la validazione accademica. Il risultato? La maggiorparte delle tecniche usate oggi, dall'impronta digitale del Dna, all'imaging del cervello basato sulla risonanza magnetica funzionale, che ha fatto il suo debutto nelle corti americane lo scorso anno, sono utilizzate con una sicurezza non sostenuta da una sufficiente base emprica. L'invito è far diventare la scienza forense più scientifica, riempire cioè il gap tra l'accademia e il "laboratorio forense".

Rivista accademica senza peer-review nell'occhio del ciclone

Una news di Nature di ieri riporta l'attenzione sui processi di peer-review e sulla comunicazione accademica. C'è un giornale, Medical Hypotheses, che da 35 anni pubblica articoli senza il processo di peer-review ma seplicemente attraverso revisioni redazionali. La rivista vuole dare spazio alle voci minoritarie della scienza medica. E' pubblicata da Elsevier, quindi gode di riflesso di una credibilità assicurata dalla casa editrice.
Pubblica un paper di Peter Duesberg, che da tempo sostiene che il legame tra virus HIV e Aids sia tutt'altro che scontato. E' la goccia che fa traboccare il vaso: l'Elsevier chiede al direttore Bruce Charlton di accettare la peer-review altrimenti lo licenzia. Lui per il momento rimane fermo nelle sue idee. Sostiene che la sua rivista esprime il meglio dello spirito scientifico: la possibilità di dare voce a chi non sta nelle strutture di potere della scienza istituzionale.
Al di là del merito degli articoli contestati, la questione interessante è il ruolo della peer-review.
Potrebbe succedere che alcune tesi alla Duisberg siano pubblicate anche con la peer-review? Credo di sì. La panacea di tutti i mali è la peer-review? Chi afferma questa tesi si scorda che si tratta di un fenomeno abbastanza recente nell'editoria scientifica specialistica. Vale la pena leggere un dossier pubblicato da Nature qualche anno fa per vedere quanti limiti ci sono in questo processo.
Credo che la vera questione non sia la garanzia di una maggiore obiettività o "verità", ma il consenso sociale che si è costruito attorno a questa pratica. Metterlo in discussione significa mettere in discussione i motivi per cui la scienza è diventata così credibile pubblicamente.

Saperi, informazione e poteri nel XXI secolo: quale ruolo per scienza e tecnologia?

Si chiama Saperi e poteri. Informazione e cultura nella network society un libretto della casa editrice Egea frutto di un incontro svolto poco più di un anno fa alla Bocconi di Milano. Ospite d'onore Manuel Castells. Si discute dell'evoluzione del processo di formazione dell'opinione pubblica nella network society , del ruolo e del successo di chi opera nei settori della produzione e comunicazione delle conoscenze.
Castells introduce il concetto di auto-comunicazione di masa come forma di contrasto al potere incarnato dai media tradizionali. L'auto-comunicazione di massa prodotta in Internet è di massa perché tramite la rete può raggiungere un'audience globale; è multimodale perché la digitalizzazione dei contenuti consente la rielaborazione dei contenuti in qualunque forma; auto-prodotta per quanto riguarda i contenuti; auto-diretta nell'emissione, scelta in modo autonomo.
Michele Salvati, uno degli studiosi che partecipa alla tavola rotonda, commenta il concetto di self mass communicationdi Castells: i processi di auto-comunicazione di massa basati su un uso interattivo e orizzontale degli strumenti informatici permette la costruzione di gruppi d'opinione e di controinformazione che si oppongono al potere di mind framing dei gruppi politici ed economici consolidata. Poi dice, a pg. 55 del libro, che c'è un altro antidoto a questo tipo di potere: avere un buona scuola, avere mass media indipendenti, avere case editrici che mettano a disposizione i migliori risultati della ricerca "nelle materie più rilevanti per dibattere l'agenda politica: filosofia, storia, scienze politiche, sociologia, economia...".
Mi ha colpito in questo elenco la mancanza di un riferimento alla scienza, alla tecnologia, alla medicina. Probabilmente è una semplice svista che non esprime un difetto dell'autore.
Credo che nella discussione fra potere, sapere e comunicazione nel XXI secolo, la scienza sia uno degli argomenti su cui maggiormente si costruiranno i dibattiti pubblici. Come si inserisce l'informazione e il sapere scientifico-medico-tecnologico nelle discussioni come quelle fatte da Castells e altri studiosi intervenuti a Milano? Bisogna ragionarci, fare ricerca e stimolare confronti.

mercoledì 17 marzo 2010

Linee di confine nel giornalismo scientifico

Bora Zikvovic ha riattivato, in un recente post , la discussione attorno alla definizione di giornalismo scientifico. Secondo Bora con questo termine bisogna intendere l'attività consistente nel riportare i fatti della scienza e spiegarli. Nella sua definizione, il cosiddetto "giornalismo investigativo", che mira ad esempio a svelare i comportamenti sbagliati degli scienziati, non è giornalismo scientifico ma giornalismo politico.
Mi sembra un discussione che soffre di un problema essenziale: ritenere che si possa decidere cosa produrre per i media indipendentemente dal media stesso, dalle sue caratteristiche e dalla dinamica con cui i media si trasformano nei diversi contesti sociali e culturali. Il giornalismo scientifico è un genere specialistico storicamente definito alla cui caratterizzazione ha certo contribuito un'ideologia promossa da una categoria di professionisti, ma anche tante altre condizioni al contorno che hanno fatto coincidere per lungo tempo il giornalismo scientifico con la divulgazione dei fatti della scienza, così come sostiene Bora.
Le condizioni al contorno oggi sono cambiate. In più, chi produce i contenuti ha un'autopercezione del proprio ruolo e della propria funzione informativa diversa da quella che gli viene attribuita dalla macchina comunicativa e dal pubblico di lettori.
In altre parole, le discussioni come quelle innescate da Bora mi sembra che facciano i conti senza l'oste. L'oste in questo caso sono i vincoli dei media e le dinamiche dei rapporti tra media e pubblico.

domenica 14 marzo 2010

Cornici di interpretazione per l'fMRI nel neuromarketing

Sto leggendo un articolo di Nature Reviews Neuroscience della scorsa settimana sul neuromarketing, l'uso delle tecniche di visualizzazione dell'attività celebrale nel marketing.
L'articolo appare nella sezione perspectives utile quindi, da una parte, per capire qual è lo stato dell'arte della conoscenza sul tema, dall'altra per delineare quali sono gli scenari futuri più promettenti.
Di neuromarketing in realtà si parla da un po' di tempo. L'aspetto che voglio sottolineare a questo punto della lettura sono le cornici in cui viene inquadrata la questione. Le domande a cui vuole rispondere l'articolo sono:

1. Può il neuromarketing rivelare delle informazioni nascoste che non emergono con altri approcci?
2. Può il neuromarketing fornire un bilancio costi-benefici migliore di altri approcci del marketing?
3. Può il neuromarketing fornire informazioni su di un prodotto prima ancora che venga concretamente realizzato e commercializzato?

Sono domande che non sembrano considerare i limiti dell'fMRI, che viene inserita in una cornice in cui le tecniche attuali di visualizzazione dell'attività celebrale sono pressoché infallibili. Un post di Neuroskeptic, che commenta un paper appena pubblicato dal titolo How reliable are the results from functional magnetic resonance imagine? fa capire che le cose sono molto più complicate.
Nonostante ciò credo che nella comunicazione del neuromarketing la cornice di efficienza ed efficacia dell'fMRI non troveranno per il momento molto contraddittorio.

Differenze tra politica e policy nel cambiamento climatico

Le problematiche attorno al cambiamento climatico sono uno dei banchi di prova più interessanti dell'intreccio contemporaneo tra scienza, società e comunicazione. Daniel Sarewitz, in un articolo apparso su Nature una decina di giorni fa, scrive un commento sul rapporto tra scienza e politica a partire da un paio di clamorosi episodi di cattiva comunicazione che hanno suscitato molti dubbi sulla imparzialità dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e dei climatologi convinti della prevalenza dei fattori antropici nel riscaldamento globale. Sarewitz si arrampica nei distinguo fra scienza e politica e sostiene che l'azione effettiva sul cambiamento climatico richiede una politica migliore, non una scienza migliore.
Il commento mette in evidenza una differenza tra il concetto di politica, intesa come il sostegno a una visione del mondo incarnata da un partito, e quello di policy, inteso come scelte su problemi specifici. In Italia questo concetto è molto più sfumato che negli Usa.
La domanda è: la scienza ha a che fare esclusivamente con le policy oppure si deve confondere anche con la politica?
Nella visione tradizionale la risposta è senza dubbio che la scienza deve dire "la verità al potere" in modo che si possa fare la scelta più razionale indipendentemente dalle simpatie partitiche degli scienziati e da chi governa in un certo momento.
Sarewitz cerca sostanzialmente di riaffermare questo principio.
Io sostengo la visione di chi ritiene che il rapporto tra scienza e politica si è gradatamente modificato negli ultimi cinquant'anni. Come ha scritto Sheila Jasanoff qualche tempo fa:

"science’s role in “speaking truth to power” is much more complicated than was once thought. The old formulation suggests both the accessibility of an unambiguous truth and a clean separation between knowledge and power that are radically at odds with the ways in which knowledge actually develops in disputed policy contexts. Rather than claiming the rarely attainable high ground of truth, scientific advice should own up to uncertainty and ignorance, exercise ethical as well as epistemic judgment, and ensure as far as possible that society’s needs drive advances in knowledge instead of science presuming to lead society."

giovedì 11 marzo 2010

I blogger si scatenano su un articolo accademico: nuovi processi editoriali in vista?

Un articolo pubblicato su Jcom, la rivista di ricerca in comunicazione della scienza di cui sono direttore, ha scatenato una discussione tra i blogger su processi editoriali, peer-review e post molto interessante.
Bora Zikvovic, editor di Jcom, ha fatto un'analisi critica e dettagliata dell'articolo pubblicato su Jcom mettendo in evidenza nel suo blog i punti deboli del paper. Critiche che, a suo modo di vedere, la redazione del giornale avrebbe dovuto ascoltare.
Il post di Bora ha sollevato decine di commenti. Al di là del merito, ci sono vari aspetti su cui riflettere per far crescere la discussione attorno all'editoria accademica e alle nuove possibilità offerte dalla rete. Tra gli altri: la possibilità di commentare un articolo referato attraverso la comunità dei blogger, rendere visibili a tutti il processo editoriale, integrare i commenti dei referee con quelli di un editor.
Potete seguire tutto sul blog di Bora.

Editoria accademica: gli studi letterari scoprono l'open access

Sulla Rivista dei Libri del mese scorso, Claudio Giunta fa un esame dettagliato dei costi di alcune riviste accademiche di letteratura contemporanea, di filologia classica e analisi dei testi. Alcuni dati sono davvero sorprendenti: la rivista Studi Novecenteschi ha subito un incremento dal 2000 a oggi del 438,3%. Quaderni urbinati di cultura classica del 1290%, sempre dal 2000 a oggi. Evidentemente c'è qualcosa che non va.
Giunta, nella conclusione del suo articolo, invita all' open source. L'articolo mette in evidenza tutta l'arretratezza di un settore dell'accademia italiana rispetto alle trasformazioni nella comunicazione tra esperti.
Giunta ha avuto il merito di porre la questione in un contesto molto paludato, ma la discussione sull' open access e sul ruolo degli editori è sviluppatissima e in altri settori, tipo la fisica delle particelle. Anche in Italia ci sono esperienze assolutamente d'avanguardia. Si pensi ad esempio a Jhep, la rivista di fisica delle alte energie con l'impact factor più alto al mondo in questo settore, competamente on-line, con pratiche innovative di pubblicazione, processi di peer-review, possibilità di lettura, interazione con editori e con archivi aperti.
La rivista è di proprietà della Sissa di Trieste, l'istituzione per cui lavoro.

mercoledì 10 marzo 2010

Nuove iniziative nel giornalismo scientifico

C'è un appendice del report Science and Media: Securing the Future, di cui avevo scritto in altri post dedicato alle nuove iniziative nel giornalismo scientifico. Si tratta dell'appendice 4 e si trova in rete. Gli autori individuano tre categorie possibili tra le proposte che si affacciano nel nuovo ecosistema dell'informazione scientifica:

-Iniziative di "quasi" giornalismo;
-Iniziative che mischiano le carte tra giornalismo e pubbliche relazioni;
-Iniziative che probabilmente non sono giornalismo;

Esempio prima categoria:
Propublica.org, un modello perfetto di giornalismo investigativo, ma giustamente si chiedono gli autori: chi paga per il giornalismo scientifico investigativo?

Esempio seconda categoria:
Futurity.org

Esempio terza categoria:
Climate central

E' una suddivisione che non ha molto di caratteristico per il giornalismo scientifico. Ci sono però lo stesso degli esempi utili.

lunedì 8 marzo 2010

Più discussione e partecipazione per avere fiducia nella scienza: nuovo report britannico

E' uscito oggi il report del Science and Trust Expert Group del BIS (Department for Business Innovation & Skills) britannico. Si chiama Starting a National Conversation about Good Science e fa parte di una serie di iniziative del governo inglese su vari aspetti del rapporto tra scienza e società in Gran Bretagna.
Questo rapporto aveva l'obiettivo di approfondire il tema della crisi di fiducia tra scienza e pubblici. Il report richiama a un nuovo atteggiamento nei confronti del problema. E' meglio uno scetticismo pubblico sano ma informato che un'accettazione acritica e cieca della scienza e degli scienziati.
Per produrre opinioni informate, conclude il lavoro, deve essere consentita una maggiore discussione sulle questioni del rischio e dell'incertezza e bisogna aprire il dibattito sui processi riguardanti la produzione della conoscenza scientifica.
Si tratta di pronunciamenti in linea con quanto i sociologi del Modo 2 dicono da tempo.
Mi sembra interessante il richiamo, tra le cose da fare in futuro, alla comunicazione delle questioni etiche legate allo sviluppo della scienza e della tecnologica. Questa attenzione alle dimensioni, etiche, politiche, sociali nella comunicazione così come nella produzione di informazione attorno alla scienza, alla medicina, alla tecnologia è una delle cifre caratteristiche del giornalista e del comunicatore scientifico dei prossimi anni.

domenica 7 marzo 2010

Nuovo numero di New Science Journalism: vecchio giornalismo scientifico in un abito nuovo

New Science Journalism (NSJ) è un progetto iniziato lo scorso anno che cerca di trovare soluzioni alla crisi del giornalismo scientifico. Il prodotto finale è un magazine di news sulla scienza. E' uscito il numero di marzo 2010. NSJ si propone come uno strumento per affrontare e integrare i problemi riguardanti il futuro del giornalismo scientifico e della comunicazione della scienza, gli sviluppi della rete e i cambiamenti del mondo contemporaneo. NSJ invita soprattutto gli studenti di tutto il mondo a collaborare per fornire un'informazione obiettiva e autonoma su scienza, medicina, tecnologia, ambiente nel nuovo ecosistema dei media. Il progetto è pensato soprattutto per dare a studenti interessati al giornalismo scientifico e alla comunicazione della scienza una piattaforma professionale dove esprimersi. Ma la possibilità di sottoporre contenuti è estesa a molti altri. Modello di business? Donazioni, sostegno di sponsor e partner con fees anche molto esose (50.000 euro + tasse se vuoi essere Premium Project Partner). Tutto molto interessante. E' uno tra i possibili esperimenti del giornalismo attualmente in circolazione applicato alla scienza, tecnologia, ambiente. Anche il prodotto è gradevole e sembra autorevole. Il punto debole è la concezione di giornalismo scientifico che c'è alla base. La mission rimane l'alfabetizzazione scientifica e il public understanding of science. Vecchia storia in un abito nuovo. E' una dimostrazione che oltre alla riflessione sui modelli di business e sul nuovo ecosistema dell'informazione le ricerche sulla comunicazione della scienza sono utili per innovare sul serio in questo settore. Comunque NSJ rimane interessante e da seguire.

sabato 6 marzo 2010

Gli americani vogliono più informazione su scoperte scientifiche, salute e medicina

Sempre dal report del Pew Internet & American Life Project and Excellence in Journalism risulta che tra gli argomenti maggiormente seguiti dei fuitori di news in America c'è la salute e la medicina (66%) e, di poco distaccata, la scienza (60%).
In più, alla domanda su quali argomenti ci dovrebbe essere una maggiore copertura il 44% degi intervistati ha risposto notizie scientifiche e scoperte, il 39% salute e medicina.
Se queste tendenze fossero confermate c'è da lavorare per il giornalismo medico-scientifico e tecnologico.

La nuova metrica del consumo delle news

Al centro di come sta cambiando il rapporto tra il pubblico e l'informazione c'è Internet. Lo conferma l'ultimo report del Pew Internet & American Life Project and the Project for Excellence in Journalism. Nel nuovo paesaggio dell'informazione non domina una singola piattaforma: circa il 46% degli americani ricava informazioni da un numero diverso di piattaforme mediatiche, che in una giornata tipo, oscilla fra quattro e sei. Solo il 7% si informa consultando un unico media.
Internet ha sconvolto il panorama del rapporto con le news determinando una nuova metrica di consumo da parte del pubblico. Il nuovo modo di consumare l'informazione è:

-portatile, il 33% di chi possiede un telefono cellulare accede alle informazioni leggendole sul display del telefonino;
-personalizzato, il 28% degli utenti Internet personalizza l'home page con poche fonti da cui ricava le informazioni, su argomenti a cui sono particolarmente interessati;
-partecipativo, il 37% degli utenti Internet contribuisce alla creazione di news, inserisce commenti o li diffonde tramite Facebook e Twitter;

Forse sono tutte cose che sospettavamo già, ma la ricerca serve anche a contestualizzare le impressioni, a raffinare il punto di vista. Di fronte ai nuovi scenari sul consumo delle news non può che ritornare pressante la domanda sul futuro del giornalismo.
Luca de Biase qualche giorno fa in un post recensiva un libro di Massimo Gaggi e Marco Bardazzi sulla crisi dei giornali, L'ultima notizia, edito da Rizzoli.

Luca ripropone una lettura su cui sono d'accordo:
La gran parte del lavoro dei media non è destinato a svelare verità nascoste ma a far funzionare la circolazione delle informazioni all'interno di sistemi di verità convenzionali.

Corsi estremi di giornalismo scientifico in Africa e nel mondo arabo

La Federazione Mondiale dei Giornalisti Scientifici (WFSJ) invita giornalisti africani e arabi a partecipare al programma SjCOOP (Science jounralism COOPeration). Secondo i promotori si tratta del corso di giornalismo scientifico più impegnativo di tutti i tempi. Durante la sua prima fase, tra il 2006 e il 2009, SjCOOP ha formato 32 giornalisti sopravvissuti a un gruppo iniziale di 82 partecipanti. Ora il progetto è arrivato alla sua seconda fase: lo scopo è formare 60 giornalisti dall'Africa e dal mondo arabo. Questa parte di SjCOOP andrà avanti per almeno altri due anni. La formazione rivolta ai paesi non anglossassoni e in via di sviluppo è presa molto sul serio dalla WFSJ. Un fatto importante. Peccato che in un paese "sviluppato" come l'Italia non sia lo stesso.

venerdì 5 marzo 2010

Un nuovo illuminismo per la scienza nella società

In questi giorni in cui la Commissione Europea ha autorizzato la coltivazione di una patata geneticamente modificata e di tre diversi tipi di mais ogm e a cui sono seguite reazioni di forte opposizione da parte del governo italiano nella persona del ministro Zaia, vale la pena rileggere un articolo apparso su Seed l'anno scorso in cui Sheila Jasanoff, tra i massimi esperti di studi sociali sulla scienza, si chiedeva, all'indomani dell'elezione di Obama, quali fossero le connessioni fra scienza e democrazia.
Secondo Jasanoff, abbiamo bisogno di una comprensione sempre più chiara di che cosa significa legare gli sviluppi scientifici e tecnologici e le finalità democratiche in una società, quella del ventunesimo secolo, in cui le scelte individuali, collettive e quindi politiche dipendono sempre di più da scienza e tecnologia.
Il rischio più grosso è quello di un rapporto sempre più stretto tra scienza ed interessi privati senza alcuna attenzione al bene comune. Capire qual è il posto giusto per la scienza nella società del ventunesimo secolo richiede un un Secondo Illuminismo: quello della modestia.
Riflettere sulle virtù della modestia è un bene. E' la chiave, alla lunga, del successo sia della scienza che della democrazia.
Quali sono queste virtù più precisamente? Accettare il fatto che la verità e provvisoria, che il coinvolgimento degli esperti va incoraggiato, che i passi avanti possono richiedere dei passi indietro correttivi, che la comprensione della storia è uno dei fondamenti più certi su cui costruire il progresso.
Anche sugli Ogm, da parte di tutti, ci vorrebbe l'esercizio di queste virtù.

martedì 2 marzo 2010

Fisici e sociologi uniti per contrastare il riscaldamento globale

David Dickson, direttore di Scidev.net, di ritorno dal meeting annuale dell'American association for the Advancemet of Science tenutosi a San Diego dal 18 al 22 febbraio, invita scienziati naturali e scienziati sociali a mettere da parte le reciproche diffidenze e lavorare assieme.
Il caso di studio, epocale, per mettere alla prova uno scambio più significativo di quanto lo sia stato fino ad ora, è il cambiamento climatico. Gli scienziati naturali devono avere maggiore consapevolezza di almeno due cose per convincere l'opinione pubblica e la classe politica della necessità di agire e agire presto per contrastare gli effetti del riscaldamento globale. Primo, la loro ricerca deve essere "robusta socialmente", secondo quanto ci hanno insegnato la sociologa Helga Nowotny e diversi suoi colleghi. Robusta socialmente vuol dire che la validità della scienza non è più unicamente determinata dalle comunità scientifiche ma da comunità più ampie che comprendono altri produttori di conoscenza, i comunicatori, gli imprenditori, i cittadini.
Secondo punto: gli scienziati devono avere una visione più profonda delle ragioni per cui la società reagisce nel modo in cui reagisce.
In entrambi i casi, le scienze politiche e quelle sociali sono fondamentali. Ma devono deporre le armi.
Purtroppo credo che il sacrosanto appello di Dickson cadrà nel vuoto, ma è molto giusto farlo.