lunedì 31 maggio 2010

knowtex: social network su scienza e tech dalla Francia

Segnalo la nascita di knowtex, social network francese su scienza e tecnologia. E' stato realizzato dall'agenzia di comunicazione Umpas.

venerdì 28 maggio 2010

Sui blog la scienza è al terzo posto

Uno studio del Pew Research Centre riporta che negli Stati Uniti la scienza è il terzo argomento più frequentato nella blogosfera. Rappresenta il 10% dei post sparsi sui diversi blog, mentre sui media tradizionali solo l'1% degli argomenti trattati riguarda la scienza.
Gli studi che conosco sulla copertura mediatica della scienza danno una percentuale più alta, compresa fra il 3 e il 5 per cento. Ma dipende da cosa si definisce scienza e ogni gruppo di ricercatori si accorda su significati differenti.
Rimane comunque una certa differenza con i blog.

Il report del Pew Research Center più in generale si interroga sulle differenze fra gli argomenti trattati sui social media rispetto alla stampa tradizionale.

Alcuni risultati:

-Le agende sono molto diverse. Twitter mostra le differenze maggiori;
-Il tempo di permanenza di un argomento "caldo" è maggiore sulla stampa tradizionale;
-La quasi totalità delle storie dei blog usa come fonti i giornali o i network televisivi;
-Il 43% delle storie su Twitter riguarda la tecnologia;
-I video più popolari su You Tube riguardano eventi non-americani.

Considerazioni generali:

Le storie e i temi che ricevono più attenzione sui social media differiscono in modo sostanziale da quelli trattati sulla stampa tradizionale. Ma ci sono anche grosse differenze tra i diversi social media. Ogni piattaforma sembra avere una sua specifica personalità.

giovedì 27 maggio 2010

Open science su Seed: come ai tempi di Galileo

Su un articolo di Seed di qualche giorno fa alcuni fra i maggiori protagonisti dell'open science a confronto su diversi aspetti della questione. La visione che guida queste persone è la necessità di una nuova architettura della scienza.
La rete ridà alla conoscenza scientifica la possibilità di ritornare a circolare liberamente come agli albori della scienza nel '600. C'è molto mito attorno alla Rivoluzione Scientifica, ma il racconto di una conoscenza accessibile a tutti continua a mantenere un forte valore politico.
L'invenzione della stampa permise la condivisione delle scoperte sul mondo naturale e la formazione di una comunità scientifica internazionale.
Oggi ci troviamo di fronte un'altra profonda rivoluzione sociale e comunicativa dovuta a Internet.
La comunicazione, così come è accaduto nel '600, avrà conseguenze epistemologiche e sociologiche sul modo di produrre conoscenza scientifica.

sabato 22 maggio 2010

La vita artificiale di Venter: strategie di demarcazione in atto

Ha avuto e continua ad avere grande risonanza mediatica l'ultimo annuncio di Craig Venter sulla creazione di un essere vivente sintetico.
Non è la prima volta che Venter fa parlare di sè, né credo sia l'ultima perché il biologo americano incarna una visione della scienza, del futuro e della società del XXI secolo.
Si fa fatica a definire Venter. Lo chiamano scienziato-imprenditore, businessman, star mediatica, capitalista informazionale, tecnologo.
Lui è tutto questo allo stesso tempo e per questo è uno straordinario laboratorio per studiare i rapporti contemporanei fra tecnoscienza e società.

Ne voglio sottolineare due aspetti:

1) la molteplicità dei luoghi in cui la scienza incontra diversi pubblici;
2) cosa fa davvero la comunicazione;

Nella concettualizzazione tradizionale, scienza e pubblico formano due punti fissi ed immutabili disposti su un'immaginaria linea di trasmissione. Attraverso il caso Venter, voglio sostanziare l'affermazione secondo cui scienza e pubblico sono invece legati tra di loro da una rete complessa di interazioni che si svolgono in uno spazio pubblico molteplice.
Voglio anche mostrare che è molto riduttivo concepire il rapporto tra scienza e società secondo lo schema in cui la scienza innova e la società può dire semplicemtne sì o no, può respingere o accettare l'innovazione tecnoscientifica. Bucchi nel suo ultimo libro ha argomentato efficacemente la necessità di superare questo tipo di discorso.

Cosa sta succedendo con l'ultima pubblicazione di Venter sulla vita artificiale? Ci troviamo di fronte a un'invenzione che suscita reazioni. Reagisce la Chiesa, reagisce la politica, reagiscono altri scienziati . I commenti sono diversi: non è vera vita, non è vera scienza, è tecnologia. Oppure: attenti alle conseguenze etiche e sociali che non siamo in grado di prevedere in questo momento.
Apparentemente sembra di essere dentro lo schema pro o contro la vita artificiale prospettata da Venter.
In realtà sta accadendo qualcosa di più sottile. Le istituzioni, la politica, la Chiesa, gli altri scienziati, stanno cercando di "inventare" qualcosa in risposta all'invenzione scientifica proposta da Venter.
Intanto, attraverso le prese di distanza e precisazioni, mediante quindi specifiche scelte comunicative, questi attori demarcano lo specifico territorio di competenza e appartenenza.
Di fronte a una scienza diversa da quella a cui sono abituati, alcuni scienziati dicono: attenti, è tecnologia.
Di fronte a possibili nuovi problemi etici, la Chiesa dice: attenti, non è vita.
Di fronte a problemi di "diritto di cittadinanza" della vita sintetica, la politica dice: attenti, andiamoci piano, con i concetti di cittadinanza, partecipazione e deliberazione che abbiamo a disposizione non sappiamo come trattare questa cosa qui.
Prendono tempo, in attesa di inventare qualcosa che alla fine, in ultima istanza, sarà nuova conoscenza. E' l'idea della co-produzione cara ad autori come Sheila Jasanoff , Helga Novotny e agli studiosi di Science and Technology Studies in generale.

Non sappiamo dove ci porterà questa co-produzione di nuova conoscenza, ma l'aspetto interessante è la cornice d'interpretazione con cui possiamo leggere l'interazione fra scienza e società.
Non ha senso parlare di un sì o no generalizzato della società all'innovazione tecnoscientifica perché il modo in cui la scoperta di Venter viene usata cambia molto da contesto a contesto. In più, le ragioni per cui viene utilizzata non sono finalizzate a dire un sì o un no, ma a definire nuove pratiche, concetti, soluzioni all'interno di spazi sociali strutturati del discorso in cui a loro volta ci sono specifiche e consolidate conoscenze, nonché rivendicazioni di conoscenza.
La domanda forse più interessante da porsi è come mai, per spazi che hanno goduto di periodi di larga autonomia dalla scienza, inizia a diventare interessante o necessario considerare cosa avviene nel mondo della ricerca.
La risposta generale è che c'è stato e c'è un potentissimo meccanismo di ridistribuzione sociale della conoscenza scientifica che genera sempre più luoghi nella società in cui nuova conoscenza continua a essere prodotta.
Ma a cosa è dovuto questo potente meccanismo di ridistribuzione sociale? Secondo Novotny alla crescita generalizzata degli standard educativi e al successo del messaggio culturale e tecnologico della scienza nei confronti della società.

In altre parole accade, per il grande successo della scienza nella storia della civiltà e in modo peculiare soprattutto per l'impatto delle scienze della vita negli ultimi trent'anni, che non è più possibile considerare la scienza un fenomeno generato in contesti separati dal resto della società il cui unico effetto è quello di determinare innovazione appetibile per il mercato secondo un modello lineare.
Le invenzioni tecnoscientifiche entrano nel diritto, nella regolazione, negli affari, nella democrazia, nei media e obbligano a creare invenzioni politiche, sociali, etiche, comunicative.
Questo ingresso genera la nascita di nuovi esperti che si pongono sulla linea di incertezza proposta dall'innovazione. Questi esperti prendono pezzi della scienza e li mettono all'interno dei contesti dei problemi che devono risolvere. Possono essere cittadini, giuristi, pazienti, operatori della salute, della comunicazione i quali sviluppano nuove conoscenze e concetti che prima non esistevano.
La conseguenza più ampia è che l'interazione tra esperti scientifici e altri esperti ha un effetto anche sulla scienza in azione o, come rende meglio l'espressione inglese, in the making .

Nel discorso fatto fino ad ora potevamo avere l'impressione che, per quanto si debba superare la visione dicotomica fra scienza e società, i problemi si pongano comunque quando c'è un'innovazione tecnoscientifica con cui diversi attori e spazi sociali si devono confrontare. Vale anche il viceversa. Il rapporto è ancora più fluido e dinamico.
La storia di Venter ancora una volta è un paradigma. E' nato scienziato-accademico; sotto gli incentivi del governo americano finalizzate a commercializzare le scoperte in biotecnologia si è reinventato imprenditore, ha condotto la sua scienza anche nelle logiche del mercato. Nella consapevolezza di far parte di una società mediatizzata ha realizzato imprese scientifiche fortemente integrate col sistema della comunicazione di massa.
Si è inventato un nuovo modo di fare la scienza integrando conoscenza, input, spinte provenienti dal mercato, dalla politica, dal sistema dei media. Non è un caso che non piaccia perché come tutti i creativi ha un modo unico di appropriarsi e modificare la conoscenza distribuita socialmente che caratterizza una determinata epoca.
Spero che l'accostamento non risulti scandaloso, ma lo stesso Galileo ha rivoluzionato il modo di conoscere integrando la conoscenza tecnologica della tradizione artigiana della sua epoca con la conoscenza filosofica e scientifica della tradizione intellettuale.

La natura di ciò che costituisce la conoscenza scientifica e tecnologica, di ciò che definiamo expertise e lo status sociale che ne deriva è oggi soggetta a profonde trasformazioni. Come ha scritto Nowotny, è il prezzo da pagare per la distribuzione della conoscenza esperta scientifica in sempre più ampi settori della società.

Dal punto di vista della comunicazione, non possono che risultare asfittici sia i modelli di deficit che quello del dialogo. Non riescono a contenere la ricchezza e la complessità dei processi reali in gioco. Più che chiedersi cosa deve fare la comunicazione della scienza è di gran lunga più interessante capire cosa realmente fa e a quali processi più ampi partecipa nella definizione del futuro socio-tecnico.
Emergono nuove possibilità per forme di comunicazione che non si traducano in un linguaggio privo di riflessività, sia esso quello del trasferimento lineare di contenuti, che quello partecipativo del coinvolgimento.
Abbiamo bisogno di comunicazione che apra a "nuove interconnessioni tra visioni etiche, politiche, istituzionali, scientifiche e pubbliche in tutta la loro eterogeneità" (Da Alan Irwin, Bucchi e Trench (a cura di), Handbook of Public Communication of Science and Technology, p. 210).
Abbiamo bisogno di una comunicazione coraggiosa, innovativa che contribuisca a "inventare" il nostro futuro sociale, politico, democratico, etico, tecnologico.

giovedì 20 maggio 2010

Risorse per i giornalisti che si occupano di biodiversità: nuove forme di informazione scientifica

Un gruppo internazionale di enti di ricerca su temi riguardanti la biodiversità hanno realizzato uno strumento online indirizzato ai giornalisti. Si tratta del Biodiversity Media Alliance , costruito sulla piattaforma Ning, specializzata nella creazione di social netwok.
L'ecosistema della comunicazione della scienza si arricchisce grazie alle possibilità offerte dalla rete di creare o occupare nuove nicchie ecologiche. Alcuni scienziati comprendono sempre di più l'articolazione fine del sistema della comunicazione. Il Biodiversity Media Alliance va nella direzione di creare alleanze con i giornalisti, secondo uno schema diverso da quello classico degli uffici stampa, cercando coinvolgimento e partecipazione degli operatori dell'informazione grazie alla qualità dei contenuti offerti, ai materiali e soprattutto mostrandosi disponibili alla conversazione, almeno in linea di principio.
Futurity.org, di cui abbiamo già parlato indirettamente in un altro post, è un esempio invece basato sulla disintermediazione.

Nuovi modi per far circolare la conoscenza scientifica

Cameron Neylon è uno dei più attivi e interessanti commentatori delle questioni tecniche e sociali legate alla circolazione aperta della conoscenza scientifica.
La questione è meno di nicchia di quanto sembri. La comunicazione tra scienziati è da tempo al centro di spinte contrapposte. Molti ricercatori conducono una battaglia perché la scienza rimanga un bene pubblico accessibile a tutti. Altri pragmaticamente vengono a patti con la privatizzazione e la mercificazione della conoscenza, soprattutto nell'ambito delle scienza della vita, molte volte per trarne diretti vantaggi economici.
Gli sforzi di studiosi come Neylon vanno interpretati nella linea di ricerca finalizzata a sfruttare la rete per traformare il paper in un oggetto che risponda ai cambiamenti nel modo di lavorare degli scienziati facendo rimanere questo oggetto il punto di riferimento su cui confermare l'autonomia e l'indipendenza della comunità scientifica.
Il suo ultimo post approfondisce il concetto di pubblicazione come aggregazione. Al di là delle questioni tecniche il concetto di base è ben spiegato da neylon stesso:



Fundamentally the idea is that we publish fragments, and then aggregate these fragments together. The mechanism of aggregation is supposed to be an expanded version of the familiar paradigm of citation: the introduction of a paper will link to and cite other papers as usual, and these would be incorporated as links and citations within the presentation of the paper. But in addition the paper will cite the introduction. By default the introduction would be included in the view of the paper presented to the user, but equally the user might choose to only look at figures, only conclusions, or only the citations. Figures would be citations to data, again available on the web, again with a default visualization that might be an embedded active graph or a static image.cameronneylon.net, Science in the Open » Blog Archive » Implementing the “Publication as Aggregation”, May 2010


domenica 16 maggio 2010

Di cosa parliamo quando parliamo di Ogm

Sul domenicale del Sole 24 Ore di oggi 16 Maggio, a pag 41, c'è uno scambio di opinioni vivace, per usare un eufemismo, tra il governatore della regione Veneto Luca Zaia e Gilberto Corbellini, storico della medicina e collaboratore del domenicale.
La materia del contendere sono gli Ogm. Zaia, contrario all'utilizzo degli organismi geneticamente modificati in agricoltura, fa riferimento a un articolo pubblicato la settimana precedente sempre da Corbellini. In questo pezzo lo studioso cita alcuni libri che svelerebbero pregiudizi e interessi dietro l'ostilità agli ogm.

Gli argomenti del no elencati da Zaia:

-rischi ambientali e sanitari;
-interessi economici delle multinazionali;

Gli argomenti per il sì da parte di Corbellini:

-i fatti ci dicono che gli ogm non sono pericolosi;
-i fatti ci dicono che gli ogm vanno nella direzione del controllo, della qualità e dell'equità nel settore agroalimentare;

Non mi interessa entrare nel merito di chi ha ragione. Mi interessa sottolineare alcuni aspetti della "comunicazione della scienza" messa in scena.

Le pagine di "Scienza e Filosofia" del Domenicale del Sole 24 Ore hanno una lunga tradizione. Vengono lette, tra gli altri, da un pubblico abbastanza influente in ambito accademico e dettano spesso l'agenda sui temi scientifici nei circoli intellettuali e politici.

I fatti della ricerca sono presentati come lo strumento più efficace per la soluzione di controverse questioni sociali e la scienza è spesso inserite nella cornice del progresso, è un'impresa conoscitiva affascinante e avventurosa, la più intrigante forma di conoscenza prodotta dall'uomo e allo stesso tempo la più obiettiva e certa.

In altre parole, tradizionalmente le pagine scientifiche del domenicale del Sole 24 Ore, svolgono una funzione di "alta divulgazione".

E' interessante che nel botta e risposta tra Zaia e Corbellini i canoni di questo genere non vengano rispettati. Perché?

Perché gli Ogm e le biotecnologie sono una delle dimostrazioni più interessanti di come il rapporto tra scienza e società si sia profondamente modificato. La prospettiva che vuole questa relazione ridotta a un trasferimento di contenuti dalla prima verso la seconda è assolutamente inefficace a descrivere la ricchezza delle interazioni in gioco.

Quello di cui si sta parlando nel dibattito tra Zaia e Corbellini è qualcosa di molto più ampio che ha a che fare con la transizione alle economie del ventunesimo secolo dominate dalla conoscenza soprattutto scientifica e tecnologica.

Per dirlo meglio uso le parole di Sheila Jasanoff, che nel libro Fabbriche della Natura pubblicato da il Saggiatore nel 2008 a pagina 18, a proposito dei conflitti sulla gestione delle biotecnologie, scriveva che essi


"a livello nazionale e internazionale richiamano l'attenzione su incertezze più ampie, inerenti alle relazioni tra la scienza e la democrazia alle soglie del terzo millennio. Quali conseguenze avrà il passaggio dalle società industriali a quelle della conoscenza per il potere organizzato, la stratificazione sociale e la libertà individuale? Che cosa avverrà nel nucleo di valori democratici, come la partecipazione del cittadino e la responsabilità del governo, in tale trasformazione, e quali saranno i vincitori e i vinti? In che modo i rapidi sviluppi nella scienza e nella tecnologia influiranno e cambieranno gli elementi più stabili della politica e della cultura nazionale? Che cosa significherà per le attuali istituzione di governance se la scienza e la tecnologia, lungi dall'agire come oggettive fonti di legittimazione della politica, appariranno esse stesse come elementi che catalizzano l'agitazione politica interna e internazionale?"


Ecco di cosa stanno parlando Zaia e Corbellini. Ecco un esempio di cosa significa comunicare la scienza nel passaggio alla società della conoscenza.

sabato 15 maggio 2010

La ricerca europea che vuole comunicare

Ancora dal blog del Science Media Forum di Madrid un post sulle iniziative comunitarie per la diffusione dei risultati e delle iniziative di ricerca in ambito europeo.

Si tratta di diverse piattaforme con finalità simili.
Tra queste:

-Cordis;
-AlphaGalileo;
-IdW;
-Expertanswer;
-AthenaWeb;
-SINC;

Il problema della visibilità dei risultati della ricerca è molto sentito dalla Commissione Europea. Nel 2000, il Consiglio Europeo di Lisbona aveva dato vita a ERA (European Research Area/Spazio Europeo della Ricerca, un'area costituita con l'obiettivo di facilitare la mobilità dei ricercatori, condividere conoscenze, migliorare i rapporti tra conoscenza scientifica, innovazione, impresa e finanza in tutt'Europa. (risorse utili su ERA e i suoi sviluppi si possono trovare sul sito di Roberto Grandi).
A dieci anni di distanza non si può dire che l'obiettivo sia stato raggiunto. Uno dei motivi di sicuro è stata la mancanza di un'adeguata strategia di comunicazione. I cittadini e molti altri portatori d'interesse non sanno sostanzialmente cos'è la ricerca europea e perché potrebbe o dovrebbe interessare loro.
Ora l'Unione Europea si trova, come è noto, forse nel momento più critico della sua storia e ha altro a cui pensare. Dalle crisi si esce però puntando sull'innovazione, sulla conoscenza, chiedendosi in modo profondo come circola la conoscenza, a chi è resa disponibile, come si costruisce consenso attorno ad essa.

venerdì 14 maggio 2010

La radio per la salute

Via Scientific American segnalo la nascita di un programma nazionale radiofonico americano mandato in onda su 160 radio disponibile gratis on line.
Si chiama The Health Show, tratta di vari temi, con una particolare attenzione alla salute mentale e alle neuroscienze.
La cosa più interressante è la logica con cui è costruito il programma. Diversamente dallo schema classico in cui l'esperto risponde alle domande che arrivano in studio, al centro ci sono le storie delle persone, sia dei pazienti che dei medici.
L'idea è che l'ascoltatore non solo deve comprendere la complessità delle questioni sanitarie ma soprattutto comprendere cosa succede alla vita delle persone che si ammalano. La salute di tutti dipende anche dalla capacità di ascolto della comunità.
La comunicazione può e deve servire a responsabilizzare la comunità nei confronti di chi si ammala e non riprodurre la ricerca di risposte unicamente mediche.

giovedì 13 maggio 2010

Il Cern, Twitter e riflessione sulle riflessioni attorno al giornalismo scientifico

Secondo un post dal Science Media Forum in corso a Madrid in questi giorni, il portavoce del Cern James Gillian considera possibile un'integrazione tra vecchi e nuovi media nel giornalismo scientifico.
Gillian ha anche citato l'esperienza dell'uso di Twitter da parte del Cern come un fatto sostanizalmente positivo.

Un'istituzione importante come il Cern si rende conto che sta accadendo qualcosa di grosso nell'ecosistema dell'informazione e sfrutta i nuovi media per discutere e aggiornare su quanto accade all'acceleratore di particelle più grande al mondo.

Prima considerazione: non è certo un'operazione di "divulgazione" ma di promozione. Siamo molto più vicini alle logiche del marketing e del PR che a quelle del trasferimento di contenuti. Niente di male, credo che l'ufficio di comunicazione del CERN faccia una scelta giusta. Mi chiedo: cosa ne penseranno i fisici?

Seconda considerazione: la scelta del Cern rende evidente che è la logica dei media, anche e soprattutto dei nuovi media, che predomina sul modello comunicativo voluto ancora da molti scienziati: io spiego, il giornalista traduce, il pubblico ascolta.
La scienza non è un caso speciale per i media. Lo è ancor di meno con la rete e i social network. Mi chiedo di nuovo: gli scienziati sono pronti a cogliere le implicazioni di questi cambiamenti? Non mi sembra.

Terza considerazione: il web 2.0 va nella direzione di un dialogo vero fra scienza e società? L'esperienza di Twitter al Cern potrebbe far pensare che i nuovi media aprono una strada concreta all'engagement. In realtà non mi sembra così. Ho l'impressione che i nuovi media da parte delle istituzioni scientifiche siano usati nel vecchio abito del deficit o in quello sempre più necessario delle pubbliche relazioni.

Quarta considerazione: le discussioni come quelle al Science Media Forum, almeno da quanto riportato dal post, si interrogano sulle sue possibilità di sopravvivenza del giornalismo scientifico. Mi sembra che manchi un discorso di respiro più ampio.
Sarebbe interessante riportare al caso del giornalismo scientifico analisi che vengono svolte sul giornalismo più in generale e che mi sembrano più profonde.
Non credo che sia interessante continuare a chiedersi se il vecchio mondo sopravviverà e quale prezzo pagherà a causa della rete. Forse più stimolante è interrogarsi su qual è il modo più sensato e significativo per abitare il nuovo mondo.
Nel caso del giornalismo scientifico è ancora più difficile perché è un genere giornalistico che si è storicamente definito in forte simbiosi con la carta stampata e soprattutto con l'idea che la sua funzione fosse esclusivamente quella di tradurre la scienza. Il giornalismo scientifico per gran parte della sua tradizione è stato concepito come un'estensione pubblica del punto di vista degli scienziati e delle istituzioni di ricerca.
Molto del disagio a condurre un'analisi più profonda sull'evoluzione dell'ecosistema della comunicazione nell'ambito dell'informazione su scienza, tecnologia e medicina dipende anche da questo fatto.

Trattamento sanitario obbligatorio

Via sito del forum salute mentale un video agghiacciante estratto da Mi Manda Rai Tre. Il video si riferisce ad agosto del 2009. E' la tragica cronaca degli ultimi giorni di vita di Franco Mastrogiovanni, legato a un letto e deceduto dopo pochi giorni.

martedì 11 maggio 2010

Impazzire si può


Dal 21 al 24 Giugno 2010 si tiene a Trieste un incontro sul tema della guarigione dal disagio mentale. La narrazione, il raccontarsi, il mettersi in gioco sono il filo conduttore della riunione che vedrà la partecipazione soprattutto di persone e associazioni con l'esperienza del disagio mentale.
Il titolo "Impazzire si può" richiama la possibilità, per ciascuno di noi, di attraversare dei periodi della vita in cui non stiamo nel contratto sociale, in cui qualcosa si inceppa, in cui il disagio ci impedisce di lavorare, di stare con gli altri, di "funzionare" in modo appropriato, di vivere pienamente.
Se impazzire si può, si può anche guarire. Il nome dato all'incontro non esprime un ammiccamento a un presunto fascino della follia. Indica un percorso di superamento di uno stigma tutt'ora molto potente, quello che vuole le persone affette da disturbi mentali condannate a un destino inesorabile di inguaribilità.
Sentire le storie di chi c'è la fatta, di chi convive con la malattia, di chi ha deciso comunque di mettersi in gioco è l'antidoto giusto.

lunedì 10 maggio 2010

Sui medici-reporter nel disastro di Haiti, on air

Una mia intervista a Moebius, il settimanale radiofonico di Radio 24 - Sole 24 Ore dedicato a temi di scienza, tecnologia e rapporti tra scienza e società.
Si discute del doppio ruolo di alcuni cronisti americani, divisi tra la loro funzione giornalistica e il loro mandato di operatori della salute in quanto medici. Ne avevo già discusso qui.

sabato 8 maggio 2010

Sheila Jasanoff sulla scienza del clima: più comunicazione per riacquistare credibilità

Sheila Jasanoff scrive su Science a proposito dello scandalo legato allo svelamento di alcune email private degli scienziati della Climate Research Unit (CRU) dell'Università della West Anglia da parte di alcuni hacker. Ne avevo già parlato in un altro post.
Alcune mail private hanno svelato che gli scienziati della CRU in qualche modo distorcevano i dati per esagerare gli effetti del riscaldamento globale. Il direttore della CRU, Philip Jones, si è dimesso lo scorso il 31 Marzo 2010. Gran parte degli scienziati del clima sono al centro di polemiche violente, compreso l'Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC).
Jasanoff è uno dei nomi più importanti al mondo nel campo dei Science and Technology Studies. Ha fondato il primo dipartimento negli Stati Uniti in questo settore.
Le vicende sul riscaldamento globale sono un'occasione propizia per la studiosa americana per descrivere come si è modificato l'intreccio fra scienza e società e come i climatologi possono limitare i danni.
Alla ricerca contemporanea non basta più l'integrità riconosciuta dagli altri colleghi per essere credibile, deve essere responsabile di ciò che fa nei confronti dei pubblici di non-esperti. Come si fa a raggiungere quest'obiettivo?
La responsabilità, per la scienza attuale, può essere schematizzata come un problema dei tre corpi.
Il sistema è formato da: lo scienziato o l'esperto; la conoscenza scientifica; commissioni di consulenti in grado di tradurre le scoperte scientifiche in forme di policy rilevanti, in altre prole persone capaci di spiegare le loro valutazioni sia all'interno delle comunità scientifiche che nei confronti di diversi attori sociali all'esterno di esse.
Per i climatologi al centro delle polemiche questo significa non solo essere più scrupolosi e trasparenti nei confronti dei loro pari, ma anche attivi nel costruire una relazione di fiducia e rispetto nei confronti dei cittadini globali.

Il ragionamento di Jasanoff è in linea con i discorsi sul modo 2 sui rapporti tra scienza e società di Gibbons e colleghi. Intreccia comunicazione, democrazia, cittadinanza scientifica, regolazione della scienza, co-produzione. Si tratta di concetti, soprattutto l'ultimo, molto cari alla studiosa americane e costanti nella sua linea di ricerca.
Tutto molto condivisibile, ma cosa fare in concreto? Anche jasanoff alla fine del suo saggio dice che si tratta di un compito difficile.
Come dare forma comunicativa a questi inviti in diversi contesti nazionali, politici e culturali?
L'impressione è che ci sia bisogno di riforme impegnative sul piano della politica della ricerca in grado di agire nelle pratiche e nella cultura degli scienziati dei prossimi decenni. Tempi lunghi insomma su problemi che hanno bisogno di risposte immediate.

venerdì 7 maggio 2010

L'ippocampo tira tra i neuroscienziati

Neuroskeptic ha fatto un'analisi molto interessante su quali sono le regioni del cervello che hanno attratto l'attenzione maggiore dei neuroscienziati tra il 1985 al 2009. Attraverso uno studio basato sugli articoli pubblicati su PubMed in più di vent'anni risulta che l'ippocampo è al primo posto, con una crescita costante. Anche l'amidgala e la corteccia parietale sono ben piazzate. Si può vedere il grafico per avere il quadro completo dei risultati dell'analisi.



I neuroscienziati che vogliono fare carriera sanno su cosa specializzarsi. Sulle ragioni per le quali alcune zone del cervello vanno più di moda di altre la discussione è aperta. La fMRI sembra giocare un ruolo cruciale.
Interessante il post perché mette in evidenza le mode all'interno delle comunità scientifiche e i fattori, interni ed esterni, che le possono determinare.

Da leggere sul futuro del giornalismo scientifico: report dal Science Media Forum

In occasione del Science and Media Forum che si terrà nei prossimi giorni a Madrid un report scritto da Valdimir De Semir.

Temi affrontati: la crisi dei media, la ridefinizione del ruolo del giornalista scientifico, il declino delle sezioni dedicate alla scienza sui giornali, il ruolo di Internet. Da leggere e commentare.

Aumentano gli scienziati blogger

In un post dal Knight Science Journalism Tracker si discute se blog o microblog scritti da scienziati possono essere considerati nuove forme di giornalismo. Non c'è una risposta, ma molti riferimenti in favore di un fenomeno in crescita. In particolare una segnalazione di una nuova iniziativa dal The New York Times: Scientist at Work. Si tratta di un blog che vuole descrivere lo scienziato nel suo lavoro quotidiano. Attraverso le cronache e il racconto della vita del ricercatore, l'idea è che il lettore del blog si immedesimi nel suo lavoro e negli oggetti che studia.

mercoledì 5 maggio 2010

I blog visti dai giornali

Una ricerca pubblicata su New Media and Society indaga il modo in cui giornali americani hanno parlato del fenomeno dei blog tra il 1995 e il 2005. I quotidiani si trovano in una situazione paradossale: sono costretti a descrivere un fenomeno che contribuisce alla crisi della carta stampata. Secondo i risultati della ricerca, i maggiori quotidiani americani inseriscono i blog in una cornice secondo cui essi sono utili più ai singoli individui e piccole comunità che alla politica, all'economia e al giornalismo stesso. Raramente i blog sono considerati come una vera forma di giornalismo.
Non so se si tratta di una difesa corporativa. Certo viene il sospetto che i giornalisti della carta stampata facciano fatica ad accettare non tanto i blog, ma il fatto che l'informazione sta diventando qualcosa di differente. Rispetto a queste trasformazioni bisogna accettare la sfida. I blog sono parte dell'ecosistema di un nuovo giornalismo.

Cos'è il dialogo fra scienza e società from UK

Alcune risorse utili pescate dalla Science Communication Conference organizzata dalla British Association su engagement, coinvolgimento e dialogo su scienza e società.
Kathy Skyes nel 2006 e Edward Andersson nel 2009 sono utili anche per sapere quali sono le principali organizzazioni coinvolte nell'engagement in UK.

martedì 4 maggio 2010

Da Perugia sul giornalismo scientifico

E' in rete una relazione sintetica dell'incontro sul giornalismo scientifico svoltosi a Perugia un paio di settimane fa nell'ambito del Festival Internazionale di giornalismo.
Da quanto c'è scritto mi sembra che la discussione non sia stata proprio aggiornatissima, ma non c'ero e baso il giudizio su quanto riportato nel sito del festival.