sabato 22 maggio 2010

La vita artificiale di Venter: strategie di demarcazione in atto

Ha avuto e continua ad avere grande risonanza mediatica l'ultimo annuncio di Craig Venter sulla creazione di un essere vivente sintetico.
Non è la prima volta che Venter fa parlare di sè, né credo sia l'ultima perché il biologo americano incarna una visione della scienza, del futuro e della società del XXI secolo.
Si fa fatica a definire Venter. Lo chiamano scienziato-imprenditore, businessman, star mediatica, capitalista informazionale, tecnologo.
Lui è tutto questo allo stesso tempo e per questo è uno straordinario laboratorio per studiare i rapporti contemporanei fra tecnoscienza e società.

Ne voglio sottolineare due aspetti:

1) la molteplicità dei luoghi in cui la scienza incontra diversi pubblici;
2) cosa fa davvero la comunicazione;

Nella concettualizzazione tradizionale, scienza e pubblico formano due punti fissi ed immutabili disposti su un'immaginaria linea di trasmissione. Attraverso il caso Venter, voglio sostanziare l'affermazione secondo cui scienza e pubblico sono invece legati tra di loro da una rete complessa di interazioni che si svolgono in uno spazio pubblico molteplice.
Voglio anche mostrare che è molto riduttivo concepire il rapporto tra scienza e società secondo lo schema in cui la scienza innova e la società può dire semplicemtne sì o no, può respingere o accettare l'innovazione tecnoscientifica. Bucchi nel suo ultimo libro ha argomentato efficacemente la necessità di superare questo tipo di discorso.

Cosa sta succedendo con l'ultima pubblicazione di Venter sulla vita artificiale? Ci troviamo di fronte a un'invenzione che suscita reazioni. Reagisce la Chiesa, reagisce la politica, reagiscono altri scienziati . I commenti sono diversi: non è vera vita, non è vera scienza, è tecnologia. Oppure: attenti alle conseguenze etiche e sociali che non siamo in grado di prevedere in questo momento.
Apparentemente sembra di essere dentro lo schema pro o contro la vita artificiale prospettata da Venter.
In realtà sta accadendo qualcosa di più sottile. Le istituzioni, la politica, la Chiesa, gli altri scienziati, stanno cercando di "inventare" qualcosa in risposta all'invenzione scientifica proposta da Venter.
Intanto, attraverso le prese di distanza e precisazioni, mediante quindi specifiche scelte comunicative, questi attori demarcano lo specifico territorio di competenza e appartenenza.
Di fronte a una scienza diversa da quella a cui sono abituati, alcuni scienziati dicono: attenti, è tecnologia.
Di fronte a possibili nuovi problemi etici, la Chiesa dice: attenti, non è vita.
Di fronte a problemi di "diritto di cittadinanza" della vita sintetica, la politica dice: attenti, andiamoci piano, con i concetti di cittadinanza, partecipazione e deliberazione che abbiamo a disposizione non sappiamo come trattare questa cosa qui.
Prendono tempo, in attesa di inventare qualcosa che alla fine, in ultima istanza, sarà nuova conoscenza. E' l'idea della co-produzione cara ad autori come Sheila Jasanoff , Helga Novotny e agli studiosi di Science and Technology Studies in generale.

Non sappiamo dove ci porterà questa co-produzione di nuova conoscenza, ma l'aspetto interessante è la cornice d'interpretazione con cui possiamo leggere l'interazione fra scienza e società.
Non ha senso parlare di un sì o no generalizzato della società all'innovazione tecnoscientifica perché il modo in cui la scoperta di Venter viene usata cambia molto da contesto a contesto. In più, le ragioni per cui viene utilizzata non sono finalizzate a dire un sì o un no, ma a definire nuove pratiche, concetti, soluzioni all'interno di spazi sociali strutturati del discorso in cui a loro volta ci sono specifiche e consolidate conoscenze, nonché rivendicazioni di conoscenza.
La domanda forse più interessante da porsi è come mai, per spazi che hanno goduto di periodi di larga autonomia dalla scienza, inizia a diventare interessante o necessario considerare cosa avviene nel mondo della ricerca.
La risposta generale è che c'è stato e c'è un potentissimo meccanismo di ridistribuzione sociale della conoscenza scientifica che genera sempre più luoghi nella società in cui nuova conoscenza continua a essere prodotta.
Ma a cosa è dovuto questo potente meccanismo di ridistribuzione sociale? Secondo Novotny alla crescita generalizzata degli standard educativi e al successo del messaggio culturale e tecnologico della scienza nei confronti della società.

In altre parole accade, per il grande successo della scienza nella storia della civiltà e in modo peculiare soprattutto per l'impatto delle scienze della vita negli ultimi trent'anni, che non è più possibile considerare la scienza un fenomeno generato in contesti separati dal resto della società il cui unico effetto è quello di determinare innovazione appetibile per il mercato secondo un modello lineare.
Le invenzioni tecnoscientifiche entrano nel diritto, nella regolazione, negli affari, nella democrazia, nei media e obbligano a creare invenzioni politiche, sociali, etiche, comunicative.
Questo ingresso genera la nascita di nuovi esperti che si pongono sulla linea di incertezza proposta dall'innovazione. Questi esperti prendono pezzi della scienza e li mettono all'interno dei contesti dei problemi che devono risolvere. Possono essere cittadini, giuristi, pazienti, operatori della salute, della comunicazione i quali sviluppano nuove conoscenze e concetti che prima non esistevano.
La conseguenza più ampia è che l'interazione tra esperti scientifici e altri esperti ha un effetto anche sulla scienza in azione o, come rende meglio l'espressione inglese, in the making .

Nel discorso fatto fino ad ora potevamo avere l'impressione che, per quanto si debba superare la visione dicotomica fra scienza e società, i problemi si pongano comunque quando c'è un'innovazione tecnoscientifica con cui diversi attori e spazi sociali si devono confrontare. Vale anche il viceversa. Il rapporto è ancora più fluido e dinamico.
La storia di Venter ancora una volta è un paradigma. E' nato scienziato-accademico; sotto gli incentivi del governo americano finalizzate a commercializzare le scoperte in biotecnologia si è reinventato imprenditore, ha condotto la sua scienza anche nelle logiche del mercato. Nella consapevolezza di far parte di una società mediatizzata ha realizzato imprese scientifiche fortemente integrate col sistema della comunicazione di massa.
Si è inventato un nuovo modo di fare la scienza integrando conoscenza, input, spinte provenienti dal mercato, dalla politica, dal sistema dei media. Non è un caso che non piaccia perché come tutti i creativi ha un modo unico di appropriarsi e modificare la conoscenza distribuita socialmente che caratterizza una determinata epoca.
Spero che l'accostamento non risulti scandaloso, ma lo stesso Galileo ha rivoluzionato il modo di conoscere integrando la conoscenza tecnologica della tradizione artigiana della sua epoca con la conoscenza filosofica e scientifica della tradizione intellettuale.

La natura di ciò che costituisce la conoscenza scientifica e tecnologica, di ciò che definiamo expertise e lo status sociale che ne deriva è oggi soggetta a profonde trasformazioni. Come ha scritto Nowotny, è il prezzo da pagare per la distribuzione della conoscenza esperta scientifica in sempre più ampi settori della società.

Dal punto di vista della comunicazione, non possono che risultare asfittici sia i modelli di deficit che quello del dialogo. Non riescono a contenere la ricchezza e la complessità dei processi reali in gioco. Più che chiedersi cosa deve fare la comunicazione della scienza è di gran lunga più interessante capire cosa realmente fa e a quali processi più ampi partecipa nella definizione del futuro socio-tecnico.
Emergono nuove possibilità per forme di comunicazione che non si traducano in un linguaggio privo di riflessività, sia esso quello del trasferimento lineare di contenuti, che quello partecipativo del coinvolgimento.
Abbiamo bisogno di comunicazione che apra a "nuove interconnessioni tra visioni etiche, politiche, istituzionali, scientifiche e pubbliche in tutta la loro eterogeneità" (Da Alan Irwin, Bucchi e Trench (a cura di), Handbook of Public Communication of Science and Technology, p. 210).
Abbiamo bisogno di una comunicazione coraggiosa, innovativa che contribuisca a "inventare" il nostro futuro sociale, politico, democratico, etico, tecnologico.

1 commento:

  1. Ora e' davvero chiaro, certe discussioni richiedono necessariamente esempi pratici e il cosa Venter "cade a fagiolo"... e' interessante l'immagine di tutte queste figure sociali che a ogni novita' tecnoscientifica si affannano con una mano per "marcare il proprio territorio" e con l'altra per "reinterpretare" l'innovazione alla luce della propria visione del mondo (e dei propri interessi, derivanti dalla propria posizione sociale). Un'interazione di "difesa" e "attacco" che alla fine produce nuova conoscenza, inattesa e non prevedibile a priori... avremo il coraggio di sostanziare la necessaria comunicazione coraggiosa? :)

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