martedì 9 febbraio 2010

Perdita di biodiversità: un problema di comunicazione

Il direttore di Scidev.net, David Dickson, nel suo ultimo editoriale del 5 febbraio 2010 descrive le difficoltà nel convincere i politici e l'opinione pubblica dei rischi che corriamo con la perdita di biodiversità su larga scala. Dickson fa un paragone con i cambiamenti climatici e attribuisce alla comunicazione un ruolo cruciale.

Nella sua analisi:

-La comunità scientifica non è in grado di comunicare efficacemente ai decision-makers i vantaggi della conservazione della biodiversità al'interno di un'agenda politica che mette al primo posto il lavoro e la crescita economica;

-Le questioni scientifiche sono troppo distanti dai problemi della vita di tutti i giorni, quindi le persone non capiscono perché una perdita di biodiversità dovrebbe essere interessante per le loro esperienze concrete;

-Sui media il tema della biodiversità non è connessa ai problemi quotidiani;

-La stessa parola "biodiversità" o il termine "web of life" non sono efficaci per i motivi detti sopra;

-I toni apocalittici non servono ad aumentare la consapevolezza su questi temi. Al contrario determina cinismo e fatalismo;

Cosa fare allora?
"Generare un discorso pubblico che direttamente lega i bisogni dell'ambiente a priorità sociali come lavoro, cibo e salute".

Dickson ci dice insomma che bisogna cambiare la cornice in cui presentare il tema della biodiversità. Da problema "di fine el mondo" a vicenda dalle conseguenze sperimentabili nella vita di tutti i giorni.
Molto giusto, ma questo vale per tanti temi in cui la scienza, la tecnologia e la medicina giocano un ruolo cruciale nelle decisioni individuali, collettive, nelle scelte di policy. Per andare oltre gli appelli bisogna insistere sul fatto che scienziati e operatori della comunicazione scientifica devono ridefinire i propri ruoli e le proprie funzioni. Investire e ragionare sulla formazione è una delle cose da fare. Non l'unica, certo. Se è vero però che c'è un nuovo rapporto tra scienza e società, allora abbiamo bisogno di nuovi scienziati e di nuovi giornalisti scientifici. Altrimenti, il rischio di "riscoprire la ruota" nella comunicazione della scienza è sempre molto alto.

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