venerdì 18 giugno 2010

Come formare comunicatori della scienza: interdisciplinarietà

Cosa bisogna insegnare a chi vuole fare professionalmente comunicazione della scienza?
E' un po' che si discute il problema e la risposta non è univoca. In scuole e paesi diversi le risposte sono differenti e cambiano a seconda di bisogni degli studenti, dei background dei docenti e delle visioni del rapporto tra scienza e società.

Tra le iniziative più aggiornate in ambito formativo di respiro internazionale c'è il progetto Esconet e, più focalizzato sulla realtà americana, un curriculum sperimentale dell'Arkansas State University (Pearce et al, An Interdisciplinary Approach to Science Communication Education, Communicating Science, Routledge, 2010: 235-252)

Questi ultimi due esempi sono focalizzati sugli insegnamenti da fornire agli scienziati che vogliono interagire con i media e costruire relazioni sociali e culturali migliori con diversi attori sociali.

Pur nelle diversità di approcci, tutti sono d'accordo su un concetto: la formazione in comunicazione della scienza si deve basare su un approccio interdisciplinare. Nella visione tradizionale, per nulla tramontata, l'obiettivo della formazione è avere professionisti che predicano ai convertiti, ai fan della scienza, attraverso l'acquisizione di competenze tecniche specifiche.

La società della conoscenza richiede viceversa la nascita di figure intellettuali in grado di abbracciare: le varie dimensioni della scienza; le relazioni nuove tra scienza e società; l'evoluzione dell'ecosistema dell'informazione.
Abbiamo bisogno di un comunicatore totale della scienza (denominazione inventata da Pietro Greco).
Le scuole di comunicazione della scienza nel mondo sembra che si stiano attrezzando per fornire il giusto mix di interdisciplinarietà per rispondere a questa esigenza.

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