martedì 1 giugno 2010

National Science Foundation: niente soldi per la scienza che non fa outreach

Una news di Nature di qualche giorno fa, si interroga sull'insistenza della National Science Foundation (NSF) americana nel voler finanziare solo progetti che dimostrano di avere impatti sociali più ampi.
L'articolo sottolinea che ancora oggi non è chiaro come si facciano a misurarli. Una commissione sta pensando a elaborare delle linee guida, ma prima del 2011 non si avranno i risultati. Intanto c'è qualche esperienza positiva, ma di solito gli scienziati sono infastiditi frustrati dai loro tentativi di comunicazione che non vanno a buon fine. La NSF non demorde però e considera imprescindibile per elargire i finanziamenti un riscontro sull'utilità sociale ed economica della ricerca.

La news di Nature dipinge un quadro della situazione americana in cui gli studi di comunicazione della scienza e i science studies non sembrano essere presi granché in considerazione. Molte volte si fa riferimento all'Inghilterra e agli Stati Uniti per far vedere che la comunità degli scienziati ha compreso in questi paesi, meglio che da altre parti, il fatto che comunicare con il pubblico è una necessità ineludibile. L'articolo riporta dubbi e insofferenze che a dire il vero non mostrano questa consapevolezza.

La NSF incarna i cambiamenti della politica della ricerca e dei rapporti tra scienza e società ben descritti dal modo 2 della produzione della conoscenza scientifica.
La scienza contemporanea per essere robusta socialmente deve dimostrare di essere utile e di assumersi le responsabilità di quello che fa. Ha bisogno di comunicazione. L'alternativa è che decisioni rilevanti sul suo sviluppo siano sempre di più prese da altri.

La comunicazione non può però essere un provvedimentouna tantum, né ci si possono aspettare effetti taumaturgici dai programmi di diffusione dei risultati della ricerca, nè immaginare che la relazione tra attività di outreach e percezione pubblica sia lineare. Le dichiarazioni degli scienziati intervistati da Nature esprimono ansie e insoddisfazioni tipiche di questo approccio.

Nell'articolo si dice anche che bisognerebbe sostenere le esperienze di uffici di science outreach di cui si sono già dotati alcune università americane. Detto così sembra uno strumento tecnico. Non credo che funzionerà neanche in questo modo. Il punto non è semplicemente dare in mano a dei professionisti della comunicazione il fardello di far capire in modo efficace le implicazioni positive della ricerca. E' una logica da marketing.

La vera difficoltà è culturale. Gli scienziati devono interiorizzare una nuova fase dei rapporti tra scienza e società e dotarsi di nuovi strumenti concettuali per interagire con pubblici diversi. Non è detto che lo possano/debbano fare da soli.
E' forse necessario che nuove figure emergano all'interno dell'università per svolgere un'altra funzione oltre a quelle della formazione e della ricerca: quella della comunicazione pubblica rivolta alla costruzione di reti sociali, quella che Pietro Greco ha definito la terza missione per l'università.

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