domenica 25 aprile 2010

Da Risvegli all'elogio del manicomio: tutti i testi confermano la nostalgia di Sacks per gli ospedali psichiatrici

Alla fine dell'anno scorso, il 31 dicembre 2009, la Repubblica pubblicò un pezzo di Oliver Sacks dedicato ai manicomi negli Stati Uniti. L'articolo era un estratto di un testo che in forma integrale sarebbe apparso sulla Rivista dei Libri nel Gennaio 2010. A sua volta questo pezzo era la traduzione dall'inglese di una versione uscita sul The New York Book of Review qualche mese prima.

L'autore di Risvegli, da cui è stato tratto il film omonimo con Robin Williams e Robert De Niro, nel testo su La Repubblica si prodiga nel farci presente che in fondo i manicomi erano un luogo che dava ai pazienti "spazi e senso di comunità, un posto per lavorare e giocare, per apprendere un mestiere e imparare a vivere insieme". Un rifugio, insomma. Certo, c'erano state delle distorsioni e degli abusi, ma in fondo non erano poi così male.
Ha suscitato una certa delusione quest'articolo di Sacks, soprattutto in chi aveva apprezzato in lui la capacità di mettere in primo piano nei suoi libri (alcuni dei quali best-seller internazionali) le storie delle persone.
Il filosofo Pier Aldo Rovatti aveva messo bene in evidenza i punti deboli delle nostalgiche argomentazioni di Sacks in un pezzo pubblicato agli inizi di quest'anno sul sito del Forum Salute Mentale.
L'articolo sul la Repubblica era un po' strano. Non era molto chiaro perché Sacks avesse deciso di parlare dei bei tempi andati degli ospedali psichiatrici proprio l'ultimo dell'anno.
Andando a leggere la versione integrale su La Rivista dei Libri si capisce che il testo era connesso al libro fotografico Asylum del fotografo Christopher Payne, in cui c'è effettivamente una prefazione di Oliver Sacks messa ben in evidenza.



Si tratta di un volume bellissimo frutto di un lavoro durato sei anni che ci mostra cosa è rimasto dell'istituzione manicomiale americana. Le foto sono il risultato di un viaggio in settanta manicomi in trenta stati diversi. Le macerie della violenza istituzionale, registrata da Payne in immagini di interni, di luoghi e di oggetti, chissà perché stimolano i riflessi nostalgici di Sacks descritti nella prefazione.
Rimaneva il dubbio che il suo testo, in una cornice differente da quello dei giornali e delle riviste, potesse dirci qualcosa di diverso. Così non è. Ho avuto la fortuna di sfogliare il libro e confrontare le versioni.
La prefazione è quasi del tutto simile a quanto pubblicato sulla Rivista dei Libri. Ci sono delle parti in più, ma la sostanza non cambia: i manicomi secondo Sacks non erano così male.
Rimandiamo a Rovatti per capire tutto quello che c'è di sbagliato nelle argomentazioni di Sacks e nel fatto che la Repubblica gli abbia dato risalto.

1 commento:

  1. è una cecità per me assurda, di fronte all'orrore dell'istituzione manicomiale (su cui continuano a emergere testimonianze anche in Italia: http://www.bozzerapide.com/Libri/index.php/mi-si-e-fermato-il-cuore-nel-manicomio-degli-orrori-di-chamed/). Dipenderà da residui di spirito corporativo o sono in gioco gli stessi meccanismi psicologici di un Eichmann? O chi ci ha lavorato per anni non riesce più a vedere alcuna alternativa a questa istituzione?

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