giovedì 8 aprile 2010

La fine dello scientismo



Nel suo nuovo libro Bucchi si pone il problema di come uscire dall'impasse delle attuali sfide tecnoscientifiche. La discussione pubblica su ogm, nucleare, nanotecnologie, neuroscienze, ecc., è ingabbiata in uno schema che egli complessivamente definisce scientismo.
Con questo termine Bucchi intende un "discorso sui rapporti tra scienza e società" che poco ha che fare con le pratiche e i processi reali della scienza e che accomuna scientisti e antiscientisti intesi nella loro accezione tradizionale. Lo scientismo così definito è una forma di universalismo anacronistico che non ha il vero obiettivo di "risolvere" i conflitti, ma quello di essere funzionale alla sopravvivenza delle parti antagoniste.
Bucchi descrive, con una serie di esempi raccolti soprattutto dalle scienze della vita, le ragioni per le quali lo scientismo è diventato ormai impraticabile. L'idea generale sottesa alle sue argomentazioni è la messa in discussione della visione secondo cui Scienza e Società sono due entità monolitiche in perenne e necessario conflitto. Questa impostazione alimenta l'illusione che i dilemmi attuali sull'impatto sociale dell'innovazione tecnoscientifica si possano tradurre nella "tradizionali categorie del dibattito pubblico e della decisione politica" (sì/no, giusto/sbagliato).
Nella prospettiva scientista non c'è nessun conflitto vero.
Conclude Bucchi: "Credendo (o fingendo) di scontrarsi, scienza e società in realtà assecondano le rispettive inclinazioni, si usano reciprocamente come scudo (e come scusa) nel gioco scientista delle parti, scambiandosi continuamente i ruoli fino a sfumare, in certi casi, una nell'altra".
Il libro di Bucchi è ricco di spunti interessanti. Una piccolo dato sperimentale a supporto delle sue argomentazioni è la reazione di Odifreddi in una recensione sulla Repubblica. Il matematico-divulgatore si è affrettato a scrivere che non si può cancellare la differenza tra scientisti e antiscientisti. Nella chiave di lettura offerta dal sociologo vicentino, è una rispota che può essere inquadrata proprio nello schema secondo cui lo scientismo ha bisogno di un nemico per giustificare la sua esistenza.
Bucchi dà inoltre un ruolo centrale alla comunicazione pubblica, scarsamente problematizzato nel contesto delle relazioni tra ricerca scientifica e diversi attori sociali. Essa rappresenta un chiaro esempio del perché lo scientismo deve essere archiviato. Il superamento della prospettiva tradizionale, divulgativa, legata alla coincidenza della comunicazione della scienza con il trasferimento della conoscenza senza alterazioni, permetterebbe di palesare gli attuali luoghi di incontro e di intersezione tra scienza e società, sempre più numerosi e sempre meno riconducibili allo schema scientista.
Quest'ultimo lavoro di Bucchi è in linea di continuità con un programma di ricerca e di pubblicazioni condotto da diversi anni dal sociologo dell'Università di Trento che lo hanno fatto diventare uno dei maggiori punti di riferimento a livello internazionale soprattutto nell'ambito degli studi sulla comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia.
Il libro "Scientisti e antiscientisti", rispetto ad altri suoi lavori, ha secondo me più il sapore di un pamphlet finalizzato a suscitare una discussione, a smuovere le acqua, più che di uno studio sistematico del tema preso in esame.
Bucchi fa una scelta di campo e una proposta-manifesto a cui, auspicabilmente, far seguire un programma di ricerca adeguato nel tentativo di modificare le coordinate delle discussioni e le attuali cornici d'interpretazione dei rapporti tra scienza e società.

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