Le problematiche attorno al cambiamento climatico sono uno dei banchi di prova più interessanti dell'intreccio contemporaneo tra scienza, società e comunicazione. Daniel Sarewitz, in un articolo apparso su Nature una decina di giorni fa, scrive un commento sul rapporto tra scienza e politica a partire da un paio di clamorosi episodi di cattiva comunicazione che hanno suscitato molti dubbi sulla imparzialità dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e dei climatologi convinti della prevalenza dei fattori antropici nel riscaldamento globale. Sarewitz si arrampica nei distinguo fra scienza e politica e sostiene che l'azione effettiva sul cambiamento climatico richiede una politica migliore, non una scienza migliore.
Il commento mette in evidenza una differenza tra il concetto di politica, intesa come il sostegno a una visione del mondo incarnata da un partito, e quello di policy, inteso come scelte su problemi specifici. In Italia questo concetto è molto più sfumato che negli Usa.
La domanda è: la scienza ha a che fare esclusivamente con le policy oppure si deve confondere anche con la politica?
Nella visione tradizionale la risposta è senza dubbio che la scienza deve dire "la verità al potere" in modo che si possa fare la scelta più razionale indipendentemente dalle simpatie partitiche degli scienziati e da chi governa in un certo momento.
Sarewitz cerca sostanzialmente di riaffermare questo principio.
Io sostengo la visione di chi ritiene che il rapporto tra scienza e politica si è gradatamente modificato negli ultimi cinquant'anni. Come ha scritto Sheila Jasanoff qualche tempo fa:
"science’s role in “speaking truth to power” is much more complicated than was once thought. The old formulation suggests both the accessibility of an unambiguous truth and a clean separation between knowledge and power that are radically at odds with the ways in which knowledge actually develops in disputed policy contexts. Rather than claiming the rarely attainable high ground of truth, scientific advice should own up to uncertainty and ignorance, exercise ethical as well as epistemic judgment, and ensure as far as possible that society’s needs drive advances in knowledge instead of science presuming to lead society."
domenica 14 marzo 2010
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