Una news di Nature di ieri riporta l'attenzione sui processi di peer-review e sulla comunicazione accademica. C'è un giornale, Medical Hypotheses, che da 35 anni pubblica articoli senza il processo di peer-review ma seplicemente attraverso revisioni redazionali. La rivista vuole dare spazio alle voci minoritarie della scienza medica. E' pubblicata da Elsevier, quindi gode di riflesso di una credibilità assicurata dalla casa editrice.
Pubblica un paper di Peter Duesberg, che da tempo sostiene che il legame tra virus HIV e Aids sia tutt'altro che scontato. E' la goccia che fa traboccare il vaso: l'Elsevier chiede al direttore Bruce Charlton di accettare la peer-review altrimenti lo licenzia. Lui per il momento rimane fermo nelle sue idee. Sostiene che la sua rivista esprime il meglio dello spirito scientifico: la possibilità di dare voce a chi non sta nelle strutture di potere della scienza istituzionale.
Al di là del merito degli articoli contestati, la questione interessante è il ruolo della peer-review.
Potrebbe succedere che alcune tesi alla Duisberg siano pubblicate anche con la peer-review? Credo di sì. La panacea di tutti i mali è la peer-review? Chi afferma questa tesi si scorda che si tratta di un fenomeno abbastanza recente nell'editoria scientifica specialistica. Vale la pena leggere un dossier pubblicato da Nature qualche anno fa per vedere quanti limiti ci sono in questo processo.
Credo che la vera questione non sia la garanzia di una maggiore obiettività o "verità", ma il consenso sociale che si è costruito attorno a questa pratica. Metterlo in discussione significa mettere in discussione i motivi per cui la scienza è diventata così credibile pubblicamente.
venerdì 19 marzo 2010
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