C'è un articolo di Gilberto Corbellini sul Domenicale del Sole24Ore di oggi che commenta la pubblicazione, avvenuta il 10 febbraio, di una bozza del DSM-V, la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, lo strumento diagnostico per disturbi mentali più usato al mondo. Corbellini si sofferma sull'ateoreticità del DSM e sulla precarietà epistemologica della psichiatria. Per superare questi limiti, conclude lo storico della medicina, ci sarebbe bisogno di "un salutare pluralismo epistemologico, ispirato però da una rigorosa concezione naturalistica della malattia mentale. Gli avanzamenti delle neuroscienze stanno muovendo in questa direzione, consentendo di tornare a sfruttare euristicamente le teorie per ricondurre i disturbi del comportamento a quello che sono. Cioè alterazioni del funzionamento del cervello".
La questione su come le neuroscienze possano essere integrate nel DSM-V era stata, fra gli altri, trattata poco più di due anni fa su Nature Neuroscience da Steven Hyman, il quale concludeva che "è probabilmente prematuro usare la neurobiologia nella classificazione formale che costituirà il nucleo del DSM-V." anche se, continuava Hyman "non è troppo presto per usare la neurobiologia come strumento centrale per ripensare l'approccio attuale ai disturbi mentali".
Mi soffermo ora sull'ultima frase di Corbellini che ribadisce una vecchia equazione della psichiatria naturalistica: le malattie mentali sono disfunzioni del cervello. Il primo a sostenerlo fu Wilhlem Griesinger a metà Ottocento. Come ricorda Eugenio Borgna in Come se finisse il mondo. Il senso dell'esperienza schizofrenica edito da Feltrinelli nel 1995, a pagina 21, lo stesso Griesinger, in una lezione del 1867 "invitava gli studenti a non reprimere 'gli slanci affettivi che ci assalgono quando siamo dinanzi a questo enigma del destino che è la follia': dicendo (anche) che 'i grandi pensieri vengono dal cuore' e che, in psichiatria, intelligenza e tecnica offrono un aiuto migliore quando si abbia 'un caldo sentimento per l'infelicità umana dei pazienti'."
Sono parole importanti, da tenere molto bene a mente proprio perché dette dal padre della psichiatria naturalistica incoraggiata da Corbellini.
Sempre Borgna (pg. 22 del libro citato sopra) ricorda poi le parole di Kurt Schneider il quale nel 1919 affermava che "non c'è un solo processo celebrale a cui sia correlato in un manifestarsi immediato e parallelo un processo psichico". La situazione non è cambiata granché da allora.
Biosgna tenere a mente anche questo non per sminuire i risultati delle neuroscienze o per trionfalizzare la psichiatria sociale, ma per ricordarci che essere psichiatri è una cosa diversa dai modelli teorici e che qualunque modello (biologico, sociologico, psicoterapeutico) fa fatica a contenere la realtà delle persone che con la malattia mentale hanno veramente a che fare. Non bisogna scordarselo.
domenica 21 marzo 2010
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