Luca Iaboli, autore di un paper pubblicato su PlosOne pochi giorni fa, mi segnala il lavoro fatto con altri colleghi afferenti a ospedali e università di Ferrara e Reggio Emilia. La ricerca analizza l'informazione sulla salute, con prospettiva scientifica, apparsa su quotidiani e settimanali italiani in una settimana di osservazione.
Gli autori hanno una prospettiva divulgativa. Sostanzialmente interessa loro capire quanto siano accurati e bilanciati i contenuti degli articoli presi in esame rispetto alla letteratura scientifica. Gli autori si chiedono anche quanto e se vengono dichiarati i conflitti d'interesse.
Non sorpende che, con una prospettiva normativa, i risultati siano simili ad altri studi di questo tipo: la qualità dell'informazione fornita su argomenti di salute è bassa e i conflitti d'interesse non emergono.
Non voglio dilungarmi sulle critiche classiche e sui limiti di questo tipo di impostazione, in parte dichiarati dagli stessi autori in conclusione al loro lavoro.
Mi interessa sottolineare altri due aspetti. La prima. Gli autori si chiedono: questo tipo di informazione aiuta o danneggia la promozione della salute nel suo complesso? La domanda ripropone l'annosa questione degli effetti dei media. Soprattutto sulle questioni di salute vale la pena sottolineare che le forme di consumo sono molto più articolate di quanto possano suggerire le analisi del contenuto. In ogni caso, ci sono più di una trentina di teorie sugli effetti sociali dei media attualmente disponibili e non se ne viene a capo. Di sicuro sono tutti d'accordo sul fatto che il rapporto tra informazione/comunicazione mass-mediatica e comportamenti è tutt'altro che lineare.
Seconda questione: il conflitto d'interessi non dichiarato. Questo problema va inquadrato nella questione più generale del giornalismo scientifico investigativo. Se diminuiscono le risorse e le protezioni per un giornalismo indipendente, soprattutto per un'informazione di nicchia come quella sulla scienza e sulla salute, non ci possiamo stupire che i conflitti d'interessi o non si vedono o, ancora più grave, non si possono denunciare. Di certo la spiegazione non è l'approssimazione del singolo giornalista, ma una crisi strutturale del giornalismo d'inchiesta dovuta a motivi di cui si disucte molto, anche in questo blog.
giovedì 1 aprile 2010
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